Nel laboratorio di Anfield Road, tra mistica del passato e apertura al futuro, c’è il magnifico Liverpool del presente nato dalla combinazione chimica di quattro elementi rari. Da destra a sinistra fino alla panchina: Salah, Firmino, Mané e Jürgen Klopp. I primi tre hanno segnato 23 dei 33 gol che fanno dei Reds il miglior attacco della Champions. La star con 8 centri (e 41 totali in stagione) è Salah, neoeletto miglior calciatore della Premier League dalla giuria di colleghi e tecnici, gente che ne capisce. Ma ridurre tutto all’ex romanista sarebbe sbagliato perché, come sempre nei prodotti calcistici evoluti, l’individuo può esaltarsi solo in quanto parte del tutto. (...) E qui si arriva a Klopp. Che in quei tre ha trovato gli interpreti ideali del suo 4-3-3 fatto di velocità, verticalità, terminali svelti da innescare dopo la riconquista di palla immediata, gol a mazzi e, en passant, show, eccitazione, sorriso. Ma ancora: fermarsi a questo è riduttivo, perché il tedesco ha arricchito il suo sistema con fasi manovrate più riflessive. (...) Un’idea su come placare il Liverpool, allora, ce la si può fare osservando i suoi presunti punti deboli: la fase difensiva e il portiere Karius, anche se, grazie a Van Dijk, il difensore più pagato della storia (85 milioni), la squadra ha imparato a coprirsi meglio e subire meno. Così, un’ipotesi di lavoro potrebbe essere imitare Mourinho e il modo in cui il Manchester United ha vinto 2-1 il 10 marzo a Old Trafford, ultimo k.o. dei Reds: ripartire stando bassi e chiusi, sottraendo profondità a Salah & Co., costringendoli a implodere. Non è nel dna della Roma ma, visto come si è rimodellato tatticamente contro il Barcellona, Di Francesco potrebbe inventarsi qualcosa anche stavolta. (...)
(corsera)