LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Hanno deciso i calciatori. Non l’associazione che li rappresenta, non un sindacato. Ma direttamente loro, i protagonisti delle domeniche: «Noi non giochiamo» è diventata subito una voce unica, condivisa, fortissima. Fronte comune e spontaneo frutto dell’amicizia tra atleti al di là delle divisioni di maglia. I primi a dire no quelli del Cagliari: erano in campo per il riscaldamento a Marassi prima della partita col Genoa quando hanno saputo. L’allenatore Diego Lopez è crollato: lui con Astori aveva giocato, come Sau, come Dessena. E come Rossettini del Genoa, che con Davide faceva coppia in Sardegna: è corso in lacrime, incredulo, dagli ex compagni, «ditemi che non è vero».
IL 'NO' DEI CALCIATORI - Negli spogliatoi faticavano tutti a stare in piedi. C’era una sola certezza: «non si gioca» . Al fischio d’inizio, a quel punto, mancava meno di mezz’ora. I giocatori del Cagliari lo hanno detto al presidente Giulini, che se ne è immediatamente fatto interprete con Malagò, con l’appoggio del n. 1 genoano, Preziosi. L’ipotesi di fermare solo la gara delle 12.30 è durata poco. Andare in campo alle 15 con il lutto al braccio e un minuto di silenzio era un’idea inaccettabile per il resto della Serie A: Viviano della Samp aveva già lasciato il ritiro, Matri sconvolto avrebbe voluto fare lo stesso. I calciatori non hanno mai pensato a soluzioni diverse dallo stop: «Non esiste, in campo non ci andiamo » . Ranocchia il primo a interessarsi della cosa: uno scambio di idee con Montolivo da cui è nato il flusso, arrivato sui cellulari di tutti fino a coinvolgere l’Assocalciatori. Nel frattempo la questione aveva varcato i confini, tradotta in un fiume di commozione social. Sanchez dell’Espanyol, ex Fiorentina, è svenuto in campo alla notizia, a Barcellona si è deciso per un minuto di silenzio prima di Barça- Atletico. I tifosi del Benevento hanno esposto uno striscione inequivocabile: «Fermate il vostro business». Quando morì Morosini nel 2012, tutto il calcio si era fermato. Ma l’ 11 settembre 2001, l’Uefa finse di non capire che tragedia immane fosse l’attentato alle Torri Gemelle: si giocò la Champions quella sera in un clima surreale, la sospensione arrivò solo il giorno dopo.