IL MESSAGGERO (L. DE CICCO) - Un appello per fermare un’operazione immobiliare definita senza mezzi termini come «uno scempio» e che ora rischia di costare caro ai contribuenti dal momento che il governo ha deciso di «realizzare a spese dell’erario un nuovo ponte sul Tevere», che sarebbe «a esclusivo servizio di un insediamento privato, perché privati sono lo stadio e il business park». Il tutto, tra l’altro, «in contrasto con le prescrizioni di legge che pongono a carico del proponente tutte le opere necessarie alla funzionalità degli interventi».
In calce a un documento che stronca il progetto Tor di Valle appena licenziato dalla conferenza dei servizi c’è la firma di tanti nomi illustri dell’urbanistica e dell’università italiana, una trentina in tutto. C’è Vezio De Lucia, ex segretario generale dell’Istituto nazionale di urbanistica, Enzo Scandurra, professore universitario ed ex direttore del dipartimento di Urbanistica della Sapienza, l’architetto Pierluigi Cervellati, una carriera accademica tra Bologna e Venezia, Carlo Cellamare (entrato in passato nel toto-assessori della giunta Raggi) e persino Paolo Berdini, l’ex assessore all’Urbanistica dimessosi a febbraio poco prima dell’accordo tra il Campidoglio pentastellato e i privati che vorrebbero costruire il nuovo stadio della Roma.
VOLUME ECCESSIVO «È un’operazione di rilevante impatto ambientale e di utilizzo di risorse pubbliche a favore di interessi privati», si legge nelle prime righe dell’appello. Nonostante il taglio parziale delle cubature record, rimarcano gli urbanisti, è rimasto «un volume comunque superiore a quanto consentito dal piano regolatore» per «centinaia di negozi e attività commerciali», mentre si è registrato «un drastico ridimensionamento delle infrastrutture a servizio dello stadio e degli insediamenti connessi». Con la conseguenza «che la viabilità di accesso è limitata alla sola via Ostiense-via del Mare senza una seconda uscita indispensabile in caso di emergenza». Quanto alla decisione di far pagare allo Stato il ponte di Traiano, «è una soluzione che ci pare inaudita», concludono i professori.