LA REPUBBLICA (M. PINCI) C'era una volta l'Italia del contropiede, gli altri vedevano solo il catenaccio, la squadra che non doveva prenderle. Noi però lo sapevamo che la strategia era un'altra: difendere, sì - in quello siamo sempre stati bravi - ma per colpire gli scriteriati avversari quando erano più scoperti. Pazienza se quelli poi storcevano la bocca. La Svezia però ci ha spedito fuori da un Mondiale con un micidiale contrappasso, uno 0-0 e un catenaccio nel Meazza di Rocco ed Herrera, due che la Coppa Campioni alle milanesi la portarono giocando "all'italiana", prima che il contropiede si chiamasse ripartenza, e con rarissime azioni in campo aperto. Come se il figlio di un atleta olimpico disperdesse il patrimonio genetico passando i pomeriggi sul divano. Si può dar la colpa a Ventura e puntare dita affilatissime sulla rinuncia a Insigne. Oppure fare i conti con la crisi d'identità di un movimento e di una nazione, che a volte scopre di essere rimasto nella terra di mezzo. Non è più ciò che era e non è ancora qualcos'altro. Per Chiellini, a rovinarci è stato il "guardiolismo". Perché ha convinto i difensori che impostare il gioco sia più importante di saper marcare una punta, gomiti in faccia, la maglia da strattonare. All'estero la vedono diversamente. Patrick Urbini ha scritto sulla rivista France Football che nel tempo abbiamo sacrificato la creatività e l'inventiva sull'altare del risultato a tutti i costi, incapaci di reinventarci. Siamo ostaggi del risultato come fine e non come conseguenza, una filosofia che era la nostra forza e non lo è più.
E allora chi siamo davvero, oggi? Il movimento dei club sembra in evoluzione, siamo l'unico paese che potrebbe ancora portare 6 squadre oltre la fase a gironi delle coppe europee (le tre di Europa League sono già promosse, le tre di Champions ci proveranno). Tutte hanno tecnici italiani, e nessuno di loro è un "Conte", che il destino di vincente l'ha costruito coltivando la tradizione. Per Sani «il gioco di una nazione oggi si vede dai club». Tradotto: le identità sono mutevoli. Per esempio la Spagna non è più la depositaria unica del tiqui-taca. La Liga è per numero di passaggi effettuati dietro Serie A, Premier e Bundesliga. Sì, oggi sono le nostre squadre ad affidarsi più di tutte in Europa alla ricerca della trama palla a terra. In cima alle classifiche dei passaggi completati e tentati c'è - per distacco - il Napoli. Dal "guardiolismo" al "sarrismo". E se i primi posti sono appannaggio esclusivo di chi comanda nei vari tornei, l'unica infiltrata, dopo Psg e City e addirittura prima del Barça, è la Juventus, che a sentir parlare il concreto Allegri non passa proprio per un club avanguardista. Si potrà discutere semmai della qualità: le grandi palleggiano nella metà campo avversaria, ma in Italia si ricorre spesso pure ai passaggi all'indietro per non perdere il pallone sulla pressione avversaria. Cambiamo noi, cambiano gli altri. La Liga è il campionato in cui si commettono più falli e fioccano più ammonizioni. Troppo fiscali gli arbitri o i palleggiatori spagnoli sono diventati più cattivi? Anche agli inglesi le "nostre" hanno strappato un primato: quello delle conclusioni da lontano. Ora che hanno smesso Lampard e Gerrard, sono Milan, Napoli, Fiorentina e Juve le primatiste della specialità. Non troppo lontano c'è pure la Roma.
Ma una tradizione nazionale è ancora viva: quella dei portieri. Quattro dei 6 numeri uno che in Europa parano di più giocano in Italia. Da Strakosha a Nicolas, e poi gli italiani, da Perin alla coppia Viviano-Puggioni, e pure Brignoli del Benevento non scherza. La Francia ha il campionato dei dribbling. L'Inghilterra, secondo cliché, quello dei colpi di testa. Il primato dell'aggressività difensiva invece ce lo hanno strappato i tedeschi. È la Bundesliga il torneo dei muscoli, dove metà delle squadre dominano per contrasti aerei e palloni rubati. Eppure, la nazionale tedesca s'è presa la Coppa del Mondo incarnando la rivoluzione culturale del palleggio e della ricerca tecnica. Insomma, nonostante il movimento sia intriso della filosofia di Guardiola, i tedeschi sanno ancora difendere. Con buona pace di Chiellini.