LA REPUBBLICA - Guidarono Casale, Roma e Napoli negli anni di Mussolini. Il calcio glorificava il regime. Loro pagarono le origini ebree
Mussolini teneva per caro il calcio e i suoi eroi, basti ricordare come usò le vittorie ai Mondiali del ‘34 e del ‘38 per glorificare il regime. A patto che non fossero ebrei. Un documentato libro di Adam Smulevich (“Presidenti”, Giuntina, 136 pagine, 12 euro) ricapitola le vicende di tre patron, ciascuno a suo modo storico, che dovettero pagare per l’origine benché fossero assai popolari tra i loro tifosi.
Raffaele Jaffe (1877-1944) fu l’artefice di quello che, letto oggi, pare uno scherzo del palmarès, dove nell’elenco dei campioni d’Italia compare accanto alla data del 1914 il nome antico del Casale dalla maglia nerostellata (la più bella tra le divise, nell’autorevole parere di un arbiter del gusto come Ottavio Missoni). Di mestiere faceva l’insegnante, si era convertito al cattolicesimo ma questo non gli evitò di passare per il camino di Auschwitz dopo la detenzione nel campo di Fossoli, anticamera del lager per molti ebrei italiani. Struggenti le lettere mandate a mocui dimo- gli e figlia in stra fino all’ultimo respiro un ottimismo purtroppo fallace circa la sua sorte.
Se Jaffe scriveva alla famiglia, Renato Sacerdoti (1891-1971), potente e reboante presidente della Roma di cui fu tra i fondatori, si rivolgeva direttamente al duce. Non si capacitava di come lui, pure convertito e fattosi cristiano, fascistissimo, combattente per la patria, marciatore su Roma, avesse dovuto subire l’affronto dell’accusa di traffico clandestino di valuta e preziosi. Per poi trascorrere cinque anni al confino. A Benito snocciolava tutte le benemerenze, chiedendo di essere liberato per potersi rimettere in divisa da soldato e difendere la patria. Ma Mussolini aveva bisogno di punire un “giudeo” così famoso, dopo l’emanazione delle leggi razziali (1938), per dimostrare all’alleato tedesco le sue serie intenzioni. Sacerdoti nel secondo dopoguerra tornerà alla massima carica della Roma e (forse) avrà simpatie socialiste.
Era morto Giorgio Ascarelli (1894-1930), presidente del Napoli, quando la furia del regime si abbatté contro la sua gente. A lui si poteva fare solo un torto: cancellarne la memoria. Per questo fu cambiato il nome allo stadio che gli era stato dedicato. Ma dentro “l’Ascarelli” aveva fatto in tempo a esibirsi, nella finale per il terzo posto del Mondiale ‘34, la Germania contro l’Austria. Era il 7 giugno. Hitler era cancelliere del reich, non ancora führer. Lo diventerà il 2 agosto dello stesso anno. Fosse già stato consolidato il suo potere, non avrebbe permesso ai nazisti di giocare su un campo intitolato a un ebreo.
Jaffe, Sacerdoti e Ascarelli storia dei tre presidenti vittime dalle leggi razziali
26/10/2017 alle 13:59.