IL TEMPO (A. SERAFINI) - La corsa nel prendere posizioni è destinata a non fermarsi, almeno finché non verrà messo un punto. Matteo Salvini è tornato alla carica, porgendo ancora una volta il fianco a Francesco Totti, vittima sacrificale, a suo dire, della gestione dissennata di Luciano Spalletti. Il leader della Lega Nord lancia il secondo attacco al tecnico della Roma (il primo era arrivato dopo il mancato ingresso del numero 10 a San Siro) infilando anche l’immancabile riferimento politico: «Spalletti? È il classico “piddino rancoroso”, mi sembra una persona così, non è sereno». Stoccata di risposta alle parole del tecnico toscano, che dopo aver incassato l’ennesimo «piccolo uomo», aveva replicato in conferenza stampa elogiandola figura di Tarabella, l’europarlamentare che a Bruxelles definì Salvini come un «fannullone».
Un colpo dopo l’altro con il solito tema puntato al finale di carriera di capitan Totti, su cui il segretario della Lega non ammette discussioni: «Giù le mani dalla bandiera della Roma, io da milanista lo avrei sempre voluto in squadra – la conclusione in un’intervista a Radio Rai – ero a San Siro la scorsa settimana a vedere la partita e l’unica cosa che tutto lo stadio si aspettava, compresi i ragazzini, era di vedere ed applaudire Totti per l’ultima volta, volevamo tributargli una standing ovation doverosa ad una straordinaria carriera. Cosa che non è avvenuta, visto Spalletti continuava a far entrare uno scarto dopo l’altro». Per la felicità di El Shaarawy (andato anche in gol), Grenier e Bruno Peres.