IL MESSAGGERO (M. ALLEGRI) - Risposte omertose e reticenti. Menzogne, dette da Francesco Totti e Daniele De Rossi per paura di ritorsioni. Di più: il capitano, convocato sotto la Curva, china il capo e si scusa. E il suo vice risponde impaurito a pesanti minacce. «Ti veniamo a prendere sotto casa», è il coro dei ultrà imputatati per violenza privata nei suoi confronti. «Vi prego, sotto casa no», è la risposta del centrocampista captata dai poliziotti in servizio all'Olimpico il 19 marzo 2015, mentre in campo, nel bel mezzo degli ottavi di finale di Europa League tra Roma e Fiorentina, piovevano accendini, bottigliette, aste di bandiere, monete e sputi. La versione poi fornita da De Rossi alla Digos è diversa: «Mi sono reso conto di avere la maglia piena di sputi, ma sotto la curva non mi sono accorto di nulla. Non mi sono impensierito». Da un'informativa agli atti dell'inchiesta sulle minacce che un gruppo di tifosi avrebbe rivolto ai giocatori, che stavano perdendo 3 a 0 contro i viola, gli investigatori parlano di «condizionamento psicologico dei calciatori, in esito a ripetuti tentativi di intimidazione». Emerge lo spaccato di una squadra quasi sotto scacco del tifo violento, con i giallorossi che vanno negli spogliatoi solo quando il leader degli ultrà dà loro il permesso. Lo stesso leader che, ricevuto in precedenza a Trigoria in delegazione, aveva impartito alla squadra raccomandazioni «sui risultati da conseguire». Per la Digos, i calciatori ascoltati a verbale sono stati «spinti solo dalla volontà di sminuire l'accaduto, giungendo persino, come nel caso di De Rossi, a negare l'evidenza». Per il momento, i quattro tifosi identificati sono di fronte al gup che li giudicherà con rito abbreviato.
LA DIFESA - Il pm Eugenio Albamonte aveva chiesto per loro i domiciliari, contestando la violenza privata, la violazione della legge sugli stadi e, in due casi, la detenzione di un vero e proprio arsenale da guerriglia portato nei pressi dello stadio poco prima di un derby. Il gip, però, non aveva concesso la misura, definendo «assolutamente credibili» le dichiarazioni in cui i giallorossi avevano negato di essere vittime di ritorsioni. Non la pensa così la procura, che ha chiesto il rinvio a giudizio degli ultrà, difesi dall'avvocato Lorenzo Contucci. La partita, ora, si giocherà in aula.
Nel capo d'imputazione, si legge che i tifosi avrebbero costretto Totti, De Rossi, l'ex portiere romanista De Sanctis e Juan Manuel Iturbe «ad avvicinarsi alla Curva Sud e subire sputi, lancio di oggetti, insulti». Li avrebbero obbligati gridando: «Non uscirete dallo stadio prima di mezzanotte, anzi uscirete quando lo diremo noi... state attenti in discoteca». Di fronte alla Digos, i calciatori avevano poi minimizzato con dichiarazioni definite «attendibili» dal gip, ma considerate dagli inquirenti «palesemente omertose». Per gli investigatori, infatti, la condotta dei giallorossi è stata «condizionata da un clima di intimidazione: si portano sotto la curva quasi a chiedere scusa per la loro esibizione», con Totti che dice: «Mi spiace, non abbiamo colpe». La Digos ritiene che le minacce in questione facciano parte di una vera e propria «strategia» del tifo violento. Poco tempo prima, la squadra era stata infatti contestata anche a Trigoria, dopo due partite disastrose contro il Chievo e contro la Sampdoria. L'unico a ricostruire puntualmente i fatti, era stato De Sanctis. «Mi hanno gridato più volte napoletano di m... e mercenario... io mi sono sentito ovviamente intimorito», aveva detto a verbale.