IL MESSAGGERO (S. CARINA) - A Il derby è finito da una decina di minuti e paradossalmente l’eliminazione è già passata in secondo piano. Tutti aspettano Spalletti. Sia in televisione che in sala stampa. Lucio, per una volta, non si fa attendere. Volto tirato. Sembra invecchiato di colpo di dieci anni. Si parte soft, con domande sulla partita: «In generale abbiamo fatto abbastanza bene. E’ chiaro che dopo il risultato dell’andata dovevamo essere bravi. Non abbiamo fatto male ma non siamo stati pronti, la prima volta che sono venuti giù abbiamo preso gol. Bisogna prendere atto del verdetto del campo e andare a fare delle analisi corrette. Alla fine la differenza sono due reti, ma nella partita d’andata non era stato fatto tutto male, anzi. Per me la qualificazione la perdiamo al secondo gol di Immobile di questa sera. Mi dispiace ma non posso modificare il passato». È un prologo perché interessa soltanto una cosa, il suo futuro.
ANALISI PROFONDA Il tecnico ha subito un moto d’orgoglio quando gli viene rimarcato come alla vigilia della gara avesse messo in mano il suo destino ai calciatori: «Non ho messo in mano a nessuno il mio destino, ce l’ho in mano io», la replica stizzita. Ma è l’unico passaggio dove si rischia lo scontro.Anche quando gli viene fotografata la stagione - eliminazione dai play-off di Champions per mano del Porto, fuori agli ottavi di finale di Europa League per conto del Lione e ieri sera ko in semifinale di coppa Italia con la Lazio – mantiene la tranquillità.Anche perché, sottolinea, «rimane il campionato». Dove è secondo con 4 punti di vantaggio sul Napoli terzo ed è a - 6 dalla Juventus, con lo scontro diretto da giocare in casa ma con appena 24 punti a disposizione. Lucio ascolta il quadro della situazione, ora più completo. Si prende una pausa. Poi dà vita ad una risposta che sembra non terminare mai: «Bisogna aver soltanto pazienza e lavorare. Si vede che la squadra commette degli errori, come nel secondo gol di Immobile dove eravamo lunghi e larghi con mezzo campo aperto. L’equilibrio, la testa, non c’è stata la continuità che bisognerebbe avere. E non c’è andata nemmeno benissimo con gli episodi. Mi chiedete cosa c’è da fare… E cosa c’è da fare? Bisogna alzare il livello della professionalità, del lavoro, della qualità e portare in fondo una classifica più importante possibile. Del resto non va dimenticato che quando siamo partiti eravamo a 12 punti dal Napoli (in realtà erano 7, con la Roma quinta in classifica, e alla fine dello scorso torneo sono rimasti 2, ndc). Se non si vince però non è un buon lavoro. Col Lione si poteva passare il turno e siamo stati un po’ sfortunati, con la Lazio non siamo stati bravissimi a cogliere quegli episodi che bisognava portare a casa. E allora uno si chiede, come mai? Siamo bravi e forti… E’ giusto che l’allenatore si prenda delle responsabilità. Anche se nelle squadre contano i calciatori forti, non gli allenatori». Basterebbe quest’ultimo passaggio per capire molto. Forse tutto.
FARAONE TRISTE Il rischio del contraccolpo psicologico è dietro l’angolo. Prova a rimandarlo al mittente El Shaarawy: «Ci hanno condizionato gli episodi, i due gol subiti erano da evitare. Abbiamo vinto ma non basta. Siamo ancora secondi e dobbiamo mantenere la posizione. Mancano 8 gare e possiamo ancora avvicinare la Juventus. Siamo dei professionisti, una squadra forte. Pensiamo solo a questo». Gli chiedono del futuro del tecnico: «Non lo so, dipende da lui». Poi torna sugli 8 giorni terribili che sembrano aver deciso la stagione giallorossa: «Lì si è deciso tutto in modo negativo. Non me l’aspettavo. Proviamo ora a voltare pagina». Non sarà facile.