IL TEMPO (A. AUSTINI) - Arrivano, o tornano come nel caso di Spalletti e Zeman, entusiasti e fiduciosi. Passa un anno, talvolta anche meno, sono già sfiniti e se ne vanno. Spesso per scelta loro. Sono gli allenatori della Roma, una «specie» che forse sarebbe il caso di proteggere. Il toscano di Certaldo è l’ultima cavia di una lunga serie. Richiamato da Pallotta per rimettere in piedi una squadra ormai dissolta nelle mani di Garcia, a 15 mesi di distanza è già pronto ad andarsene, stavolta per sempre. Spalletti ci ha provato in tutti i modi a cambiare la mentalità di una Roma capace di creare dei presupposti di vittoria, ma puntualmente perdente nei momenti cruciali, quando deve fare quell’ultimo passo e invece ritorna sempre indietro. Se in campionato c’è l’«alibi» di una Juve troppo ricca e potente per essere insidiata, ma il cammino giallorosso nelle coppe dal 2009 (anno dell’ultima coccarda firmata Spalletti) è un mezzo disastro. Breve riepilogo: 2009-2010 con Ranieri fuori ai sedicesimi di Europa League col Panathinaikos, finale di Coppa Italia persa con l’Inter, idem la Supercoppa; 2010-11 eliminati agli ottavi di Champions contro lo Shakhtar (al ritorno c’è Montella), ko in semifinale di Tim Cup sempre con i nerazzurri; 2011-12 inizia l’era americana col flop di Luis Enrique ai preliminari di Europa League contro lo Slovan Bratislava, la Coppa Italia finisce ai quarti allo Juventus Stadium; 2012-13 è la stagione della finale-derby persa da Andreazzoli, subentrato a Zeman; 2013-14 Garcia buttato fuori dal Napoli di Benitez nella semifinale di Coppa Italia; 2014-15 la Champions finisce al girone e l’Europa League agli ottavi con la Fiorentina che aveva già eliminato la Roma ai quarti di Tim Cup; l’anno scorso la vergogna contro lo Spezia che propizia l’arrivo di Spalletti, steso poi dal Real agli ottavi di Champions.
La stagione attuale è iniziata con il fallimento ai playoff di Champions col Porto e culminata negli 8 giorni devastanti di marzo, in cui la Roma ha buttato via l‘Europa a Lione e la finale di Coppa Italia nell’andata con la Lazio, con la sconfitta contro il Napoli in mezzo. Le mancate rimonte hanno completato un quadro che segna l’inesorabile resa di Spalletti. Il toscano, in realtà, non ha ancora comunicato ufficialmente il suo addio, ma ha lasciato intendere di aver preso questa decisione perché «incapace» di vincere. Il suo è un messaggio alla Roma, della serie: se nessuno di noi ci riesce, forse i problemi sono strutturali. E comprendono una miriade di situazioni. Spalletti intende comunque chiudere la stagione in sella e difendere il secondo posto. Inutile guardare alla Juve, salvo spiragli che si riapriranno. Ha passato la notte a rivedersi il derby che ha poi rianalizzato a Trigoria col diesse Massara, ha parlato con la squadra senza particolari rimproveri e ora prepara la trasferta di Bologna. La nuova Roma che sarà guidata da Monchi, intanto, deve farsi trovare pronta e trovare un successore. Ieri il dg Baldissoni è volato a Londra per riunioni sul settore commerciale e poi con Baldini ha visto Chelsea-City, ma né Conte né Guardiola sono avvicinabili. I preferiti sono Sarri e Sampaoli, anche loro difficilissimi da prendere. La lista dei candidati è ancora lunga, ma se Spalletti dovesse ripensarci, la porta resta aperta. Per non ripartire da zero l’ennesima volta.