IL TEMPO (A. OSSINO) - Sono diversi gli episodi violenti che la procura di Roma contesta ai quattro ultras ritenuti parte di quella «strategia» che «ha posto in essere, già a partire dall’inizio del 2015, molteplici condotte criminose, dirette a creare disordini e a turbare l’ordinato svolgimento delle competizioni sportive in cui è coinvolta la squadra di calcio A.S. Roma, così contribuendo anche a intimidire i giocatori della squadra medesima». Quattro episodi commessi, secondo i pm, da 4 tifosi. Vicende legate, ritene l’accusa. Episodi distinti, sostiene invece la difesa.
LE TESTIMONIANZE DEI GIOCATORI – Chiare sono invece le parole dei giocatori. Come il capitano Francesco Totti: «Al termine dell’incontro io e altri miei compagni di squadra ci siamo recati sotto il settore della curva sud dove i tifosi avevano reclamato a gran voce la nostra presenza con ripetuti cori. Durante questo confronto siamo stati insultati e fatto oggetto disputi, lancio d’ accendini e bottigliette di plastica». Il più acclamato dei giallorossi si riferiva all’incontro contro la Fiorentina in Europa League. Una partita che determinò l’eliminazione dei giallorossi dalla competizione europea. La versione è stata confermata anche da altri calciatori: Daniele De Rossi, l’attaccante Manuel Iturbe e il portiere Morgan De Santis. Già all’inizio della gara sugli spalti erano apparsi striscioni indicativi: «Garcia non si tocca», «Mercenari cambiate mestiere», «Roma s’è rotta er cazzo…a presto». E poi i cori: «Non uscirete dallo stadio prima di mezzanotte, anzi uscirete dallo stadio quando lo diremo noi» avrebbero cantato i tifosi. Secondo quanto riportato dalla polizia sarebbero state urlate vere e proprie minacce: «State attenti quando andate in discoteca». Minacce mai confermate dai giocatori. Perché, secondo i pm, le intimidazioni avrebbero portato «Totti e De Rossi a negare di aver subito minacce (..) per timore di subire ritorsioni». I calciatori infatti avevano cercato di discutere con gli ultras. Ma «al cospetto della tifoseria ultras – recita l’atto – una volta giunti, sono stati oggetto disputi, lancio di oggetti, accendini e bottigliette». Il capitano avrebbe provato a farli ragionare: «Non ho potuto fare nulla per quanto accaduto, mi dispiace – avrebbe spiegato Totti – mi dispiace ma non abbiamo colpa». E poi ci sono le dichiarazioni di Daniele De Rossi che, una volta entrato nello spogliatoio, aveva notato «di avere la maglia piena di sputi». «Ho deciso di andare sotto la curva al termine della partita dopo un rapido cenno di intesa con Francesco Totti, per evitare che la contestazione po tesse continuare all’esterno dello stadio – aveva spiegato agli inquirenti il giocatore – Tuttavia mentre mi stavo recando verso la recinzione insieme ad altri miei compagni di squadra ci siamo rapidamente accordati tra di noi per non cedere ad alcuna richiesta per farci togliere la maglia in segno di resa alla tifoseria». Il colloquio non sarebbe andato come sperato: «Ti veniamo a prendere sotto casa» annotano gli uomini della polizia che assistono allo scambio di battute. E De Rossi: «Vi prego, sotto casa no». Secondo l’estremo difensore Morgan De Sanctis, adesso numero 1 del Monaco, il confronto non sarebbe stato sereno: «Mi hanno gridato più volte “napoletano di m..da” e “mercenario” (… ) Mi sono sentito intimorito dalla veemenza con la quale i tifosi si sono rivolti verso di noi». Il portiere aveva chiamato in causa anche il calciatore bosniaco Miralem Pjanic, in seguito venduto alla Juventus. «Pjanic – aveva detto De Sanctis – venne colpito con un accendino». L’attaccante Juan Manuel Iturbe, che successivamente sarebbe stato prestato al Torino, aveva confermato l’accaduto parlando agli inquirenti: «Nell’occasione ci sono arrivate dagli spalti monetine e una bottiglietta d’acqua che non mi hanno colpito e un tifoso che era a cavalcioni sulla cancellata mi ha chiesto di dargli la maglia».
IL DERBY ARMATO – In vero, quelle testimoniate dai tifosi, non erano le prime avvisaglie di quella che i magistrati ritengono essere una «strategia della violenza». Prima del derby con la Lazio, che sarebbe terminato 2 a 2, nei pressi dell’Olimpico, in largo Maresciallo Diaz, davanti al locale «Big Stefano», dove storicamente i tifosi della Roma si riuniscono, gli uomini della Digos avevano ritrovato un vero e proprio arsenale. Era custodito in un’automobile intestata a un ragazzo che solitamente non frequenta le riunioni riservate agli ultras. Parcheggiata dalle prime ore del mattino, la macchina era «presidiata costantemente da un nutrito gruppo di tifosi riconducibile agli ultras “Padroni di casa” della curva sud… i quali si attivavano per garantire all’automobile un adeguato piantonamento finalizzato a preservare e rendere disponibile l’armamento in essa celato». Ma cosa custodiva di tanto importante quell’automobile? La risposta è affidata al verbale di sequestro: 18 «artifici pirotecnici», 6 bottiglie incendiarie, 1 coltello a serramanico, 1 casco nero, 20 mazze di legno da 50 centimetri l’una, 3 manici in legno e 2 in plastica.
LE PROTESTE A TRIGORIA – Altri «colloqui» degni di nota erano avvenuti in occasione di quello 0 a 0 contro il Chievo. Un risultato che indusse «un nutrito gruppo di tifosi ultras» a entrare «all’interno del centro sportivo di Trigoria, affrontando con tono deciso alcuni giocatori e rappresentanti della società». Una protesta «con tono deciso», insomma. Proprio come avvenuto a ridosso della partita con la Fiorentina, quando gli ultras, racconta De Sanctis, «ci hanno riferito che qualora questa situazione fosse proseguita, riferendosi chiaramente ai risultati negativi della squadra, non ci avrebbero continuato a sostenere».