«Lo stadio non si farà a Tor di Valle», annuncia Beppe Grillo al Tg2 della sera. «Un sito alternativo non è ipotizzabile», rispondono subito i soggetti proponenti. Da Boston, si scomoda pure James Pallotta, con un tweet drammatico, segno che il progetto stadio è davvero appeso ad un filo: «Ci aspettiamo un esito decisamente positivo dall’incontro in programma venerdì (domani, ndr). In caso contrario, sarebbe una catastrofe per il futuro della Roma, del calcio italiano, della città, e francamente per i futuri investimenti in Italia». È il tentativo disperato di frenare il principio di una valanga. «A Tor di Valle c’è un rischio idrogeologico», ammonisce Beppe Grillo. «Facciamolo in un’area dove non c’è un fiume che esonda», aggiunge. «L’area è sicura dal punto di vista idrogeologico – fanno sapere i proponenti – e anzi il progetto, con investimenti totalmente a carico dei privati, va a sanare il rischio idrogeologico presente nel quartiere limitrofo di Decima, ben al di fuori del sito dove verrà progettato lo stadio e dove abitano oltre 10 mila romani». Motivo per cui, ribadiscono la Roma e il costruttore Luca Parnasi, proprietario dell’area in discussione, «… dopo cinque anni di lavori su un progetto in stato avanzato di approvazione nel rispetto di leggi, regolamenti e delibere, non è in alcun modo ipotizzabile un sito alternativo a Tor Di Valle».
Vista al di là del Grande Raccordo Anulare, deve apparire una vicenda marziana. Simbolo di una città che ormai sfugge ad ogni logica, in cui può succedere di tutto, o niente, per mesi. E questa, in fondo, è la cosa più grave accaduta al progetto Tor di Valle nei primi otto mesi dell’era Raggi: si è detto di tutto, ma non si è deciso nulla. I margini per una soluzione non cruenta della vicenda sono ridottissimi. Ormai sembra chiaro che Giunta e maggioranza dei consiglieri grillini abbiano scartato l’ipotesi di autorizzare solo una riduzione light delle cubature. E qualunque altra ipotesi renderebbe il progetto non più sostenibile finanziariamente.
(gasport)