Per riassumere la situazione relativa all'ormai chiacchieratissimo stadio della Roma che dovrebbe sorgere in zona Tor di Valle, si potrebbe ricorrere al sempre attuale aforisma di Flaiano: la situazione è grave ma non seria. Con questo spirito, si dovrebbe sorridere di fronte alla pioggia di reazioni provocata dalla felice campagna del #famostostadio, impreziosita da un insolito invito della sindaca Raggi a Totti («Ti aspettiamo in Campidoglio per parlarne») e da un intervento in tackle dell’ex premier Renzi («E famolo! Non si può dire di no a tutto, così si blocca il futuro»). Fino al divertente tweet di Marcello De Vito, presidente pentastellato del Consiglio comunale: «Non te preoccupà Capitano: #famostostadio e #famolobene. Con #ASRoma lavoriamo a progetto innovativo».
Spiace dirlo, ma non si può che sorridere amaramente di un’amministrazione che a meno di un mese dalla scadenza dei termini per l’approvazione definitiva del progetto non ha ancora espresso una posizione univoca. Un giorno sì, il giorno dopo no. Va avanti così da mesi, col risultato, evidentemente studiato, che il progetto si è impantanato, mentre il conto alla rovescia scandito dalla Conferenza di servizi in Regione andava inesorabilmente avanti.
Il 3 marzo è dietro l’angolo, eppure, ancora oggi aspettiamo l’esito dell’ennesimo incontro tra amministrazione e soggetti proponenti, quando invece a questo punto dovremmo discutere solo della variante al piano regolatore. Spiace anche qui, ma sarebbe stato più coraggioso se dalla nuova Giunta fosse arrivato un no chiaro, perché le cubature si ritengono eccessive, la zona sbagliata, le criticità troppe. Piuttosto che il continuo rimando al «rispetto delle regole», come ha ricordato ieri la Raggi, questo davvero fuori luogo. Perché tutto si può dire di questo progetto, non che non sia stato fatto secondo tutti i crismi previsti dai tre commi della legge di Stabilità del 2013, che per brevità chiamiamo legge sugli stadi. O che non preveda quelle opere pubbliche che il costruttore si è impegnato a sostenere perché di un progetto privato ne benefici anche il pubblico.
(gasport)