LA REPUBBLICA (G. DE MARCHIS) - I "muri" in curva saranno rimossi nei tempi tecnici, probabilmente entro febbraio. È un passaggio per certi versi epocale. Da agosto 2015, infatti, romanisti e laziali sono sul piede di guerra per l’ordinanza del Viminale che puntava a dividere la tifoseria, evitare i cambi di posto e controllare meglio, attraverso la videosorveglianza, i settori del tifo organizzato. Lo sciopero dei tifosi ha colpito duro sulle due squadre: stadio semivuoto, pochi cori e sostegno zero ai propri colori. Così, all’Olimpico, la “fotografia” degli spalti è diventata sempre di più deprimente. E questo, ancora oggi, è vero tanto più per la Roma, la squadra con il pubblico più numeroso e più appassionato.
Sono stati anni di battaglie, di contestazioni, di odio verso il prefetto di allora Franco Gabrielli (oggi capo della Polizia) e di pressing sui vertici societari per un ritorno alla normalità. Con le inevitabili accuse di eccessiva timidezza, di sforzo ridotto al minimo, di una voce che non sapeva farsi ascoltare dalle istituzioni. Anche perché il provvedimento è un unicum nella serie A. Nessun altro stadio ha le barriere nelle curve. Ma a Roma c’erano stati episodi molto discussi, sfociati persino in un’inchiesta quando i calciatori giallorossi, dopo un’eliminazione, furono in pratica costretti ad andare sotto la Curva Sud a scusarsi con i tifosi.
Il dossier antibarriere è stato gestito dal neoministro dello Sport Lotti. Appena insediato, Lotti ha istruito la pratica per porre fine a quella che definisce «una follia». Una follia sportiva, naturalmente. Ma era necessario confrontarsi con l’Osservatorio sul tifo del ministero dell’Interno che aveva le sue ragioni per mantenere il vincolo. Così è cominciato il dialogo tra Lotti e Minniti e tra Lotti e le società. Per capire i margini di manovra e lavorare alla “liberazione”. Nella vicenda hanno recitato un ruolo fondamentale i dirigenti, certo. Ma ancora di più due figure chiave della Roma: Luciano Spalletti e Francesco Totti.
Il rapporto tra Lotti e Spalletti è di amicizia e la politica non c’entra. C’entra invece la zona dell’empolese, terra di origine di entrambi, e la passione della famiglia Lotti per il pallone. Sia il ministro sia il padre Marco sono infatti allenatori dilettanti e conoscono “Luciano” da sempre. Lotti ha giocato nel Certaldo, paese natale di Spalletti. Che ha chiesto all’amico di prendere in mano la vicenda, di cercare una soluzione, di riportare i tifosi allo stadio. Ma Lotti ha parlato anche con il Capitano. Perché nei colloqui preliminari il titolare dello Sport ha messo in chiaro una condizione: «Do una mano a Roma e Lazio a far tornare la gente allo stadio. Ma non devo essere io a parlare con le tifoserie». Lo devono fare dei giocatori simbolo e nessuno lo è più di Totti, per quello che riguarda la Roma. Alla fine il Capitano ha dato la sua disponibilità. «L’appello ai tifosi, per tornare all’Olimpico, lo faccio io», è stata la promessa del numero 10.
Lotito troverà un calciatore biancoceleste che faccia lo stesso, anche se da qualche domenica la curva Nord è tornata a riempirsi nonostante le barriere. Si limano i dettagli. Lotti dice che «non saranno richieste particolari garanzie, ai tifosi e alle società». Ma con Baldissoni e Lotito è stato chiaro: «Al primo casino rimettiamo le barriere». Come dire che le società dovranno prendersi qualche responsabilità.