LA STAMPA (I. LOMBARDO) - Beppe Grillo è la sintesi. Nel M5S, il Capo arriva, mette a tacere le divisioni delle sue tribù e poi decide. Comunque decide sempre lui. Il metodo 5 Stelle diventato prassi trova la sua ennesima dimostrazione sullo stadio della Roma. A Grillo era rimasto come un ronzio in testa, quando tra le ragioni elencate dai contrari allo stadio di Tor di Valle gli era stata confermata l'esistenza di un possibile pericolo idrogeologico. E così, per vederci ancora più chiaro, ha cercato conforto nel parere di altri periti. Secondo quanto riferiscono fonti vicine al leader, a Tor Di Valle sarebbero arrivati un geologo e un architetto per supervisionare l'area. Il risultato è stato comunicato da Grillo alla sindaca Virginia Raggi: «II rischio di esondazione del Tevere è più alto del previsto. Lo stadio va fatto altrove, altrimenti non lo facciamo». E buonanotte a un progetto su cui si lavora da cinque anni e alla «pubblica utilità» fissata nel 2014 dalla giunta di Ignazio Marino. Quel vincolo della soprintendenza che sembrava una bizzarria dal tempismo perfetto, a protezione di un ippodromo fantasma devastato dall'incuria, è stato provvidenziale per il M5S. II vincolo architettonico e il rischio idrogeologico, già previsto nel piano presentato alla Conferenza dei servizi che si chiude il 3 marzo, sono la scusa perfetta per far saltare tutto e per metterli al riparo dalle penali milionarie che impensierivano Raggi.
Inoltre, negli incontri in Campidoglio di ieri, prima da solo con la sindaca, poi in un confronto senza di lei con tutti i consiglieri e i presidenti di municipio grillini, Grillo ha capito una cosa fondamentale: la maggioranza di loro, lo stadio, se fatto secondo il piano dell'As Roma e dei costruttori Parnasi, non lo vuole. Anzi i consiglieri sono pronti a votare una delibera che annulli quella precedente di Marino, come richiesto dagli attivisti che martedì erano in piazza, snobbati da Raggi. La sindaca continua a non proferire parola e lascia ancora una volta che sia Grillo a prendersi la scena e la gestione delle grane più insidiose per la città. Questa volta il comico si è anche dovuto fermare più del solito nella Capitale e sono già tre giorni che è qui a fre la spola tra il Campidoglio e il suo amato quartier generale, all'Hotel Forum con vista Fori Imperiali. Non solo. Grillo è inusualmente ben disposto verso telecamere e taccuini. Non ha mai parlato cosi tanto e cosi tante volte, poche battute e molte dichiarazioni concrete, certo sempre a suo modo, capaci di creare scompiglio o confusione tra i 5 Stelle, capovolgendo le prospettive su cui stavano lavorando finora. Lo stadio si fa, non si fa, si fa altrove. Tutto cambia nel volgere di qualche ora. II moloch romano schiaccia nella loro indecisione i 5 Stelle, alle prese con un'opera che è una grande vetrina mediatica ma che potrebbe vedere la luce quando Raggi non sarà più sindaco. Sono tanti i calcoli da fare e Roma mette i grillini di fronte alla loro mutazione governativa. «È finita l'epoca dei meet up e dell'uno vale uno - ha sancito Grillo ai consiglieri - ora governiamo Roma, le decisioni le prendono i portavoce». La Capitale rende l'utopia la più comune delle realtà, fatta di casse vuote e delle stesse ricette di sempre. Grillo ha dovuto registrare un video sul terrazzo del suo hotel per chiedere «una legislazione privilegiata su Roma» e «più soldi dallo Stato». A 7 mesi dalla vittoria assomiglia alla certificazione del fallimento di un sogno e del mito della diversità. I rivoluzionari alla fine diventano sempre i più realisti.