LA REPUBBLICA (F. S. INTORCIA) - Il submarino amarillo è stato colpito e affondato, la Roma ha vinto la sua battaglia navale con il cannoniere meno atteso e con quello più scontato, Emerson e Dzeko, e ha risolto con una settimana d’anticipo la pratica d’accesso agli ottavi di finale, guadagnando ossigeno prezioso nel suo calendario ingolfato.
Soprattutto, la quaterna rifilata al Villarreal, senza prendere gol, ha un valore assoluto nel certificare la crescita continentale di una squadra sbattuta fuori dalla Champions per un atto di autolesionismo e ora protagonista con merito nella coppa piccina. Nel vecchio Madrigal, ora battezzato Estadio de la Cerámica, in campionato è caduto l’Atlético Madrid e ha frenato il Barcellona, tanto per capire. E l’avversario strapazzato ieri ha ancora la miglior difesa di tutta la Liga, con appena 15 reti subite. Nella notte più importante, la Roma insomma non ha sbagliato cravatta, prendendosi una vittoria da dedicare ad Alessandro Florenzi: stamattina il centrocampista conoscerà il suo destino dopo la visita a Villa Stuart a Roma, nella remota speranza di evitare un nuovo, immediato intervento al ginocchio operato a ottobre.
Spalletti ha scelto di rinunciare a Salah per puntare su El Shaarawy, la sua squadra ha vissuto un primo tempo di massima cautela e di pari pazienza, nella dura ricerca di un mezzo per passare e nella paura di essere infilata per linee centrali, dove sono nati rari brividi nella prima parte di gara, con Alisson però mai impegnato. Di contro, la ciurma di Escribá si è disposta con la solita disciplina, squadra corta, non più di 7-8 metri tra la difesa altissima e il centrocampo a comporre così un muro giallo dall’effetto visivo scoraggiante per qualsiasi attacco. Un depliant illustrato della virtù principale del Villarreal, che con la sua solidità si è arrampicato al sesto posto. In un primo tempo divorato dalla tattica e perciò arido di contenuti, l’impasse poteva essere spezzata solo da una giocata individuale. Così è stato: il vantaggio della Roma è nato da un’azione apparentemente innocua cominciata da Rüdiger e poi accesa da Emerson, lesto a papparsi l’incerto Castillejo — che in patria hanno soprannominato “spaghetto” per il fisico esile — e a disegnare col destro, il piede usato abitualmente solo per l’acceleratore, un meraviglioso arcobaleno. Lo stesso brasiliano ha sfiorato il bis chiamando Assenjo a una respinta di pugno. La Roma ha avuto solo un momento d’affanno, quando doveva amministrare il vantaggio a inizio ripresa: qui ha abbassato il baricentro più o meno inconsapevolmente e lasciato sfogare l’avversario, correndo rischi calcolati, se l’unica parata di Alisson si è resa necessaria su una incornata di Mario Gaspar. Quando Spalletti ha inserito Salah, i giallorossi hanno accelerato davvero: una folata dell’egiziano ha propiziato il raddoppio, altrettanto bello, di Dzeko. Incredibile la sua freddezza nel mettere a sedere, con una finta, Musacchio, obiettivo di mercato dei giallorossi. Nel finale, il bosniaco ha mostrato l’intero campionario, segnando col destro di potenza e di sinistro con precisione, aggiornando i suoi numeri bestiali. Sono 28 le reti stagionali in 34 apparizioni, va a segno da sette partite consecutive (10 reti), è il capocannoniere di una coppa cui ora la squadra di Spalletti ha il dovere, più che il diritto, di puntare.