ILPOSTICIPO.IT (A. CIARDI) - La Nike suona la carica. Se in Spagna veste due delle tre grandi storiche (Barcellona e Atletico Madrid), se in Italia dopo un ultradecennale rapporto con la Juventus ha nel portafogli Roma e Inter, se in Francia si lega a Paris Saint-Germain e Monaco (in Germania, patria di Adidas e Puma, è difficile fare la voce grossa), in Premier League in questa stagione sta vivendo l’anomalia della perla rara, essendo sponsor tecnico soltanto del Manchester City, lontana dalla leadership dell’Adidas (5 club: Chelsea, Manchester United, Middlesbrough, West Bromwich Albion, Sunderland), dalla Puma (3: Arsenal, Burnley, Leicester) e dalla Umbro (3: Everton, Hull City, West Ham). Una sola squadra: come, con tutto il rispetto, l’azienda canadese Dryworld che veste il Watford e la JD Sport sponsor tecnico del Bournemouth. Ma l’azienda statunitense sta preparando un rilancio in grande stile in Inghilterra.
SPONSOR TECNICI NEL CALCIO, DUELLO NIKE E ADIDAS
Dal 2017-18 negli armadietti dei calciatori di Chelsea e Tottenham ci saranno tute, calzoncini e magliette col baffo. Accordi pluriennali, in via di definizione anche per questioni legali visto che il Chelsea avrebbe ancora sei anni di contratto con l’Adidas, con cui chiuderà i conti pagando una penale da 48 milioni di euro. Ma potrà saldare la casa tedesca anche grazie alla nuova sponsorizzazione: la Nike per quindici anni verserà 74 milioni a stagione tanto da rendere il club di Abramovic il terzo più pagato da uno sponsor tecnico dopo il Barcellona (155 milioni sempre dalla Nike) e il Manchester United (92 milioni a stagione dall’Adidas). Per i Blues, 1 miliardo di euro fino al 2032.
IL TOTTENHAM PASSA ALLA NIKE
Alla Nike costerà meno la liaison con il Tottenham che dal 2011 veste Under Armour. Gli Spurs vedranno comunque quadruplicare gli introiti perché passeranno da 10 a 40 milioni a stagione, sorpassando l’Arsenal (36 milioni dalla Puma) e il Liverpool (35 milioni dalla New Balance) nella speciale classifica, e distanziando il City che in virtù dell’attuale accordo con la Nike (scadenza 2019, con rinnovo multimilionario alle viste), introita al momento poco meno di 15 milioni l’anno.
ADDIO AL WHITE HART LANE, UNO SPONSOR PER IL NUOVO STADIO
Tottenham e Nike studiano inoltre una partnership d’oro per la nuova casa del club del nord di Londra, che dal 2018-19 giocherà nello stadio che sta per sorgere poco distante dallo storico White Hart Lane. 61 mila posti a sedere (contro i 36 mila dell’attuale impianto), centro medico e sportivo, area commerciale. 700 milioni di sterline di investimento, ricerca di partner per rientrare delle spese. L’ambizioso presidente Daniel Levy da mesi consulta potenziali mega sponsor. C’e la Uber, società colosso nei trasporti che potrebbe ottenere per almeno sei anni il diritto di abbinare il proprio nome allo stadio (Uber Stadium) in cambio di 25 milioni di euro; c’è la Qatar Investment Authority, per intenderci il fondo sovrano che nel 2011 ha rilevato il 70% del Paris Saint-Germain. E c’è, appunto, la Nike, che naming o non naming avrà un ruolo cardine e tanti baffi da apporre in uno stadio che diventerà anche la casa europea della NFL.
LA NIKE DAL 2018 RICOPRIRÀ D’ORO IL BARCELLONA
La Nike è un colosso e come tale paga, anzi strapaga. Non era un refuso il passaggio sui 155 milioni a stagione del Barcellona. Tanto incasserà il club catalano dal 2018-19. L’intesa con la Nike dura dal 1998. All’epoca il lungimirante presidente Josep Lluis Nuñez stipulò un accordo da 120 milioni per 10 anni, 12 a stagione. A venti anni di distanza quella cifra verrà più che decuplicata (105 milioni base fissa, 50 milioni bonus legati a risultati facilmente raggiungibili), dopo che l’ultima assemblea dei soci ha partorito il sì al rinnovo dell’intesa con 584 voti favorevoli, 10 contrari e 9 astenuti. Difficile immaginare cosa passi per la testa di chi vota contro un aumento simile. Oggi il Barcellona, assieme al materiale tecnico, riceve un assegno da 85 milioni. Dal 2018 farà il vuoto.
REAL MADRID ATTARDATO, MA STA PER RIMEDIARE
Cifre inarrivabili per le italiane. Non siamo ancora alla disperazione perché Barcellona e Chelsea rappresenteranno per un po’ quelle eccezioni che annoverano anche lo United marcato Adidas, ma attenzione. A breve Real Madrid (oggi incassa “appena” 39 milioni dall’Adidas, ma alle viste c’è un rinnovo del contratto che scade nel 2020 a 140 milioni più bonus a stagione), PSG e City adegueranno verso l’alto i propri numeri. Discorso diverso per il Bayern (63 milioni a stagione) perché l’Adidas è un socio più che uno sponsor, possedendo quote del club.
Nel giro di un triennio i nostri club somiglieranno a un vagone sganciato da un treno ad alta velocità. Persino la Juventus, che dal recente (in vigore dal 2015) accordo con il marchio tedesco ha ottenuto 23 milioni di euro a stagione, cifra che oggi la porta a essere poco sotto la media guadagni dei top club europei, ma che la terrà in futuro quasi a distanza siderale da chi ha già rinegoziato o sta negoziando gli accordi coi fornitori di materiale tecnico.
LA NIKE DÀ GLI SPICCIOLI A INTER E ROMA
I due club vestiti dalla Nike, Inter e Roma, hanno contratti che fanno sorgere domande su come il calcio italiano sia considerato dai grandi investitori. 18 milioni a stagione per l’Inter. 5 milioni a stagione per la Roma (per i giallorossi anche una percentuale extra su parte del ricavato delle vendite delle maglie). Le uniche due big italiane marchiate Nike ottengono insieme un terzo di quanto guadagnerà dallo stesso sponsor il Chelsea a partire dal prossimo primo luglio.
IL NAPOLI HA SCELTO KAPPA PER PERSONALIZZARE LE MAGLIE
Non è un caso che il Napoli, al termine del contratto con la Macron, abbia detto sì alla Kappa nonostante il corteggiamento della Nike. Che avrebbe offerto gli stessi 8 milioni a stagione proposti dallo sponsor torinese, che però offre al Napoli la possibilità di “interagire” coi disegnatori del materiale tecnico affinché si producano prodotti unici (impensabile se si firmano accordi con Nike e Adidas), e offre maggiore flessibilità per la distribuzione del materiale, con il club campano che negli anni ha consolidato rapporti con store locali che altrimenti sarebbero stati tagliati fuori dai negozi monomarca dei grandi sponsor. Concetti apparentemente provinciali, ma De Laurentiis ha ritenuto opportuno non perdere, per ora, quelle piccole familiari certezze in cambio di un contratto con un partner famoso che non avrebbe comportato benefici concreti al fatturato.
I CLUB ITALIANI NON SANNO CHE PESCI PRENDERE
L’Italia continua a faticare per intravedere quantomeno la targa dei bolidi stranieri che oramai da quasi un decennio la umiliano alle voci fatturati, stadi, main sponsor, sponsor tecnici. La Juventus rappresenta in parte un’eccezione che sa quasi di miracolo considerando i numeri dei club coi quali si misura in Europa. Roma e milanesi hanno proprietà straniere, o meglio Roma e Inter sì, il Milan forse la avrà da marzo, ma a oggi cercano ancora l’assetto giusto, cambiando spesso manager incaricati di far crescere l’appeal del brand. In una infuocata conferenza stampa datata giugno 2015 James Pallotta non le mandò a dire (eufemismo) alla Nike, accusata di gestire male la distribuzione dei prodotti marchiati As Roma. Il Napoli ha una gestione del club più simile a quelle patriarcali del secolo scorso che a quelle moderne. Per non parlare di Lazio e Fiorentina, che senza illudere nessuno hanno sposato da anni il basso profilo.
DA NOI SI SALVA SOLTANTO (IN PARTE) LA JUVENTUS
A risentirne sarà sempre di più la competitività del nostro campionato, quindi delle nostre rappresentanti europee. E se l’organizzazione societaria della Juventus rappresenta la marcia in più che le consente di pranzare e cenare in ristoranti da cento euro a coperto ingegnandosi perché nel portafogli magari ce ne sono soltanto settanta/ottanta, per il resto delle italiane l’abbinamento agli ottavi di finale di Champions League con il Real Madrid di turno rappresenterà anche negli anni a venire quell’impresa che spinse un anno fa i tifosi della Roma e in questi giorni i tifosi del Napoli a bivaccare al gelo pur di accaparrarsi un prezioso biglietto di curva magari pagandolo 100 o 150 euro senza passare per i bagarini. Come a dire: quando mi ricapita una partita così?