IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Sornione e tranquillo. Se lo stato d’animo della squadra è lo stesso palesato ieri in conferenza stampa da Spalletti, la Roma si avvicina al derby nel migliore dei modi. Lucio è padrone della situazione, più di altre volte nel recente passato. In alcuni momenti dà quasi la sensazione di voler dire qualcosa («Basta fare le scelte giuste, avere la personalità di passare anche da bischero, far credere che sei così e invece…»), per poi tornare indietro sui suoi passi e non svelare nulla all’esterno: «No, non dico nulla, ho l’1% in mano in più sulle scelte e me lo tengo». Come spesso gli capita quando è in vena, il tecnico gioca con gli sguardi e le parole: «Salah non c’è nel derby e nella prossima...». Poi una pausa e un sorriso malizioso, quasi a voler lasciar sospesa una flebile speranza di averlo disponibile contro la Juventus, nonostante il comunicato medico abbia parlato di 3 settimane di stop.
È loquace, più del solito. E magari non dice così direttamente, come riportato da alcuni siti, «La Lazio non è il Real Madrid», ma parte da lontano per lanciare un messaggio che gli si avvicina abbastanza: «Bisogna dire subito che Inzaghi è stato bravo con i suoi ragazzi a creare un derby di alta classifica. Però i miei calciatori hanno le qualità per vincere e il derby è speciale ma si vince come le partite normali. Non è come quando giochi contro il Real Madrid e cerchi l’eccellenza in più cose per vincere la partita. In questa gara qui c’è da cercare di essere noi stessi il più possibile. La partita è sicuramente difficile, loro stanno bene, stanno facendo un buon calcio, però la Roma ha le carte in regola per portare a casa il risultato senza far sì che l’addizione dei calciatori metta un’altra addizione di quello che devono fare individualmente per poterlo vincere». Traduzione dallo spallettese: se giochiamo da Roma, la partita la vinciamo. Ancora non ha visto i 500 tifosi che a metà pomeriggio entreranno a Trigoria per caricare la squadra con cori e colori, avvolti da uno striscione (“Lontana dagli occhi ma non dal cuore, voi per i tre punti, noi per l’onore”) che la dice lunga sulla passione strozzata della gente. Eppure Spalletti conosce bene la realtà nella quale si trova e dove ha accettato di voler tornare a lavorare. A tal punto che se non fosse per l’accento toscano, quando gli chiedono del diverso approccio alla stracittadina, apparentemente, tra le due tifoserie, nella risposta sembra di sentir parlare un signore nato a Trastevere: «La romanità è uno stile di vita, un modo di salutarsi, di guardarsi, di incontrarsi e di allenarsi. Ce lo sentiamo addosso per tutta la settimana, non servono conferme. Il fatto di avere questa seconda pelle, che sia vicina o distante, lo percepisci lo stesso. Fa lo stesso rumore che essere allo stadio, ci sentiamo tutto quel peso dell’importanza che ha il giocare o il far parte della Roma. Una cosa è certa, si tratta del derby della città eterna e finché ci sarà il Colosseo, ci sarà la Roma e quindi questa partita. Loro favoriti? Ci fa piacere, sarà uno stimolo in più». A proposito dei romani e del loro rapporto con la stracittadina, aggiunge: «Se si mantiene la lucidità è un vantaggio, se si gioca invece il derby tutta la settimana si rischia di andare in over».
Siamo ormai agli sgoccioli di una settimana dove l’opinione pubblica è rimasta colpita dalla tragedia che ha toccato i calciatori dello Chapecoense e si è molto discusso della frase del tifoso laziale che per incitare la squadra a Formello, ha parlato di «guerra etnica». Lucio non lo menziona, ma s’intuisce che le sue parole vanno a colpire proprio lì: «In questa settimana ho visto molti video su YouTube. Per come sono fatto, il pensiero va subito al video di Allan dello Chapecoense, quando prima di andare a giocare la finale dei suoi sogni è lì che sorride con i compagni. Insieme trasferiscono questa gioia di giocare una partita che mai si sarebbero immaginati di disputare. Quella è un’immagine che mi resta più impressa, altre passano più velocemente. Visto che l’obiettivo di tutti è andare a togliere le barriere, mi chiedo se certi discorsi che ho sentito siano la strada giusta. Ripeto, se penso a cose che mi motivano io penso ai video dello Chapecoense, quella è l’immagine che mi rimane più impressa. Anche perché nel calcio non ci sono razze. C’è solo un pallone». Sipario.