
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - A uno il broncio viene solo quando Spalletti parla di lui. L’altro pare avercelo sempre, persino quando festeggia. Non potrebbero somigliarsi meno, Edin Dzeko e Gonzalo Higuain. Eppure per portare Juventus e Roma a contendersi stasera un pezzettino di scudetto, hanno fatto la stessa cosa: gol, tanti. Dodici il romanista, più di chiunque altro in serie A, 9 il bianconero. Non abbastanza per somigliarsi, né per piacere. La parola delusione ha fatto da colonna sonora alla stagione di Dzeko, per un anno. Per Higuain è durata lo spazio di qualche settimana a inizio stagione. Erano i giorni in cui il caratteraccio dell’argentino complicava il proposito d’introdurlo nello spogliatoio più vincente d’Italia. Allegri gli chiedeva di rincorrere gli avversari e lui brontolava con gli amici: «Mica faccio il difensore». Le insofferenze manifestate in campo che a Napoli hanno convinto qualcuno a brindare, il giorno in cui la Juve pagò la sua clausola da 90 milioni, iniziavano a fare capolino pure allo Stadium: con il primo complimento a un compagno («Pjanic mi ha messo una palla di quelle che piacciono a me») pareva quasi rivendicare maggiori attenzioni. Poi è cambiato qualcosa: in concomitanza con l’infortunio di Dybala, Higuain s’è scoperto diverso: più disponibile al sacrificio, più comprensivo con i compagni, pronto persino a fare da spalla a Mandzukic. Anche i compagni s’accorgono che oggi sembra più interessato a vincere che a segnare. Magari non quanto Dzeko, che del sacrificio ha fatto un mantra: i passaggi che riceve più spesso non sono gli assist di Perotti, ma i lancioni del portiere Szczesny. Se Higuain si mostra irascibile, Dzeko pare quasi mansueto. Anche troppo, a sentire Spalletti: «Deve essere più cattivo». Lo dice spesso, pure a Trigoria.