LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Non sono in tanti ad aver vinto sia a Roma sia a Torino. Mirko Vucinic ci è riuscito: due coppe Italia e una Supercoppa con i giallorossi con Luciano Spalletti, tre scudetti con la Juventus di Antonio Conte. Ma a Roma Vucinic raccolse anche cocenti delusioni, su tutte lo scudetto 2010, perso in casa contro la Samp: «Dopo un grande primo tempo purtroppo abbiamo preso due gol e abbiamo perso. Ci fu un battibecco tra me e Perrotta all’intervallo, nemmeno ricordo per cosa, forse un passaggio. Ma ci siamo chiariti subito».
Un’occasione persa. Quella di sabato a Empoli è stata certamente meno dolorosa, ma ha ricordato l’antico vizio della squadra, incapace di vincere quando farlo è indispensabile.
«È vero, ma Empoli ci è stata sempre indigesta. Quando c’ero io non vincemmo mai. Stavolta la Roma ha avuto tante occasioni, è un caso che non abbia fatto gol».
Alla Juve però di sbagliare partite così succede meno. Quasi mai. Lei che è stato anche lì, che idea si è fatto?
«È diverso l’approccio. Il fatto è che alla Juve, quando pareggi, è come sei avessi perso. Lo percepisci, pareggiare non basta. Poi vincere aiuta, ogni vittoria aiuta a ottenere quella successiva. Ti metti condizioni mentali favorevoli, ti senti più forte».
A Roma, secondo Sabatini, si vince e si perde allo stesso modo.
«I tifosi a Roma sono così, basta che fai bene per due partite e ti portano alle stelle, ma poi appena fai una cosa male inizi a sentire che la squadra non c’è. E questo alla lunga ti logora».
Quindi è una questione ambientale: arriva davvero così forte il malumore della gente?
«A Torino puoi andare tranquillamente per strada senza essere infastidito da nessuno: non ci sono le radio, o almeno non ce ne sono quante a Roma. La Juve è più forte fuori da Torino. C’è un’attenzione diversa».
Ha parlato di radio: i calciatori le ascoltano e ne parlano?
«Certo, le sentono. Che mettano pressione o meno, le sentono tutti: ricordo che a volte tra di noi si facevano delle battute, tipo: “ho sentito quello che ha detto questo”, “io ho sentito quell’altro, che dice il contrario”. Tutti quanti le ascoltavamo, anche soltanto mentre vai al campo: è inevitabile».
E l’impazienza verso il successo può essere dannosa?
«Non ti aiutava il fatto di non riuscire a vincere lo scudetto da tanto tempo. Quando capitava che fossimo in lotta, iniziavi a sentire la tensione anche in partite meno importanti: in quei casi c’è sempre, senti proprio la pressione sul collo, che morde. Anche l’anno di Roma-Samp: ho ancora il rammarico, avevamo fatto un’annata pazzesca».
Alla Juve però non succede...
«Alt. Non pensate che nella Juve non ci sia pressione. Anzi. Quando devi vincere pressione c’è sempre. La vera differenza? Non lo so. Può essere sia più facile perché a Torino sapevi sempre a cosa andavi incontro. E poi c’erano giocatori che avevano già vinto tanto e sapevano darti consigli giusti«.
In uno spogliatoio come quello chi è l’uomo più “pesante”?
«Buffon: un leader naturale, uomo-spogliatoio, uomo-amico, uomo-tutto. Ma anche alla Roma ce né uno: è Totti. Tutti pensano sia silenzioso, ma nei momenti di difficoltà è come Buffon: uno che si fa sentire. Che parla, eccome».
Ha l’impressione che l’ansia di vincere possa contagiare anche la Roma di oggi?
«Non credo, perché c’è uno come Spalletti. E vi garantisco che non è uno che si fa contagiare dall’ansia: il mister lo conosco bene, rispetto a quando ho lavorato con lui è cambiato molto. Cambiato in meglio, nel modo in cui affronta gli allenamenti, come guarda partite, come sa intervenire in corsa. Mi è sembrato ancora più maturo. Soprattutto nella gestione del gruppo: sa farlo funzionare, ed è un aspetto fonda- mentale nel calcio di oggi. Fondamentale per vincere».