LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Ci sono abitudini che diventano vizi e vizi che diventano malattie. La Roma è malata: malata di rimonte. Quando al minuto 84 il nigeriano Kayode pareggiava per l’Austria Vienna una partita che sembrava già finita, ai pochi intimi dell’Olimpico deve essere sembrato di rivedere uno di quei parenti antipatici, ma con cui sei abituato a convivere. Per la 28esima nelle ultime 20 stagioni la Roma s’è fatta rimontare 2 gol (o più) lasciando punti per strada. Responsabili non sono le distrazioni di Juan Jesus, il lassismo di Manolas, la superficialità di Alisson o i palloni persi da Paredes. Non c’entrano Gerson o Totti, Salah o Palmieri. È la Roma, che spinta da una forza quasi mistica continua a cadere vittima dei soliti limiti. Successe a Carlos Bianchi all’Olimpico contro la Reggiana: segnò Totti (dopo Moriero) in quel giorno del ’97, ma non bastò a prendersi i 3 punti. Ma anche a tutti gli altri, da Zeman a Capello. Eclatanti il 3-4 subito dall’Inter in rimonta nella Supercoppa 2006, dopo un parziale di 3-0 al 34’. Ma pure la sconfitta con lo stesso punteggio (e lo stesso vantaggio di 3 gol) in casa del Genoa, costata la panchina a Ranieri nel 2011. Il 4-4 di Leverkusen della stagione scorsa, partita giocata curiosamente il 20 ottobre, proprio come quella con l’Austria Vienna.