LA STAMPA (G. BUCCHERI) - Una prima lettura del pomeriggio del San Paolo spiegherebbe la vittoria (3 a 1) della Roma sul Napoli così: da una parte c'era Dzeko, due reti, sette in otto tappe di campionato, mai tanto prolifico nemmeno nei suoi primi passi in Inghilterra o Germania, e dall'altra non c'era Milik, attaccante polacco, in infermeria per i prossimi tre mesi almeno e, fino a due settimane fa, punto di riferimento e di svolta della comitiva azzurra.
L'importanza di un «9» - Ma il successo giallorosso trova la sua ragione nelle mosse (o non mosse) delle panchine. Luciano Spalletti, tecnico della nuova anti-Juve, ha dimostrato di conoscere l'arte dell'improvvisazione, quella quanta che ti porta a uscire dal solito copione senza perdere di vista il traguardo: solo cosi si può dare un senso all'inedita difesa a tre o «tre e mezzo...», come l'ha definita lo stesso allenatore nel dopo gara, e solo cosi si può raccontare la rinascita immediata di una squadra che dal doppio confronto con Inter e Napoli esce rafforzata nelle idee e nelle certezze, ma che dallo stesso doppio incrocio poteva uscire con le ossa rotte. Da dove comincia la rivoluzione silenziosa del tecnico? A Napoli, ha sublimato l'importanza di un disegno tattico che prevede la presenza di un centravanti vero, di peso e professione: il primo Spalletti italiano segno la sua storia con l'invenzione, anche per necessita, di una squadra priva del vertice alto, ora è il contrario. Dzeko è stato criticato, a lungo e anche all'inizio di questa avventura, la sua seconda nella Capitale, ma Spalletti lo ha difeso fin dalle prime uscite assicurando il suo mondo che, per il bosniaco, questo sarebbe stato l'anno della rivincita. Risultato? Siamo pronti a scommettere che davanti a due o tre gol divorati su Dzeko ripiomberanno i fantasmi del passato, ma per ora è giusto che l'attaccante si goda i complimenti per aver raggiunto in due mesi quanto raggiunse dopo 29 partite la scorsa stagione.
Due ko che preoccupano - Se Spalletti può definire la partita di Napoli «la migliore da quando sono tomato alla Roma», a Maurizio Sarri non resta che subire il sorpasso in classifica provando ad evitare che la squadra e l'ambiente vadano incontro ad uno choc troppo forte da sopportare. Aurelio De Laurentiis, patron azzurro, gioca in contropiede e uscendo dallo stadio chiede «di evitare il tempo dei processi. Io ho le spalle larghe, larghissime, Napoli è debole...». E Sarri? Mai aveva perso in casa e mai due partite di fila (all'incrocio con la Roma arrivava dopo il ko di Bergamo). Il toscano ha il merito di far giocare bene la propria squadra (quasi) in ogni occasione, ma il demerito di non saper vincere se le cose si mettono male: il suo Napoli è creato per correre mille all'ora, appena i giri del motore si abbassano sono guai, perche nella lavagna tattica di Sarri non sono previste modifiche al pensiero dominante. Da qui due riflessioni: come mai togliere dal campo ad inizio secondo tempo Gabbiadini che, seppur spento, deve essere considerato il sostituto di Milik per le prossime quattordici partite come minimo? E perché non avere la tentazione di spostare lo stesso giovane attaccante nel ruolo di esterno per farlo sentire a proprio agio? «L'ho cambiato per motivi tattici, volevo dare una scossa. Speriamo che questa scelta non incida su di lui», cosi Sarri. Lo sperano i tifosi azzurri. Quelli romanisti, intanto, tornano a sognare da anti-Juve.