LA REPUBBLICA (C. PASOLINI) - «L’obiettivo è che tutti riescano ad andare allo stadio a vedere la partita in santa pace, tornandosene a casa senza incidenti. Se le forze di polizia hanno deciso per i sistemi bioemetrici, tutto questo avrà la sua ragion d’essere. Soprattutto ora che si parla tanto di terrorismo».
Damiano Tommasi, giocatore di Verona e Roma, con 25 presenze in nazionale, ora è presidente dell’Associazione calciatori. Ma parla soprattutto a titolo di tifoso del pallone, di padre di sei figli con i quali vorrebbe condividere la passione del calcio in serenità.
Come avere stadi sicuri?
«Problemi di terrorismo a parte, evidentemente i biglietti nominativi, la tessera del tifoso non sono bastati a tenere lontano chi va allo stadio non per godersi, come la maggior parte dei tifosi, il gioco in campo».
Ci vuole più repressione?
«Daspo e firme in questura non sembrano essere bastate in questi anni ad evitare scontri e disordini. Il problema è più complesso, è anche culturale. Bisogna capire chi va allo stadio e perché ci va, bisogna lavorare in modo che genitori e figli possano guardare in sicurezza la squadra del cuore» .
La sua prima volta sugli spalti?
«Da bambino per Verona-Lazio, finita 2-2. Mi ricordo i tamburi, i cori, una confusione pazzesca, mi spaventai per il caos, il rumore, la folla».