IL TEMPO - Quasi fosse nel dna del romano, di ogni romano, fosse anche acquisito, è come se imperatori, re, papi, duchi e Marchesi del Grillo fossero passati con ciascuno di noi. Una città come Roma trasmette ai suoi figli tutto, nell’aria che respiriamo ogni giorno, nell’acqua che beviamo ai nasoni. Ci trasmette i Lanzichenecchi, gli Spagnoli e i Francesi; ci tramanda di padre in figlio le Idi di Marzo e il mantello che copre il viso di fronte al pugnale di Bruto, ci regala in eredità Cola di Rienzo e il Valentino; Michelangelo e Bernini; i figli dei papi fatti passare come nipoti e il Vespasiano a «via de li Banchi Vecchi». Ci dona, Roma, il sogno della Repubblica Romana di Mazzini, le adunate in camicia nera a piazza Venezia sotto al Balcone, e la battaglia di Porta San Paolo. Quando nasci qui, quando ci arrivi emigrante da un’altra terra, vicina o lontana che sia, alla fine quel Colosseo, quelle colonne, quelle chiese, quelle piazze, l’aria di Trastevere e quella di Campo de’ Fiori, ti entrano nelle vene, diventano il tuo sangue. E tu divieni romano. In ogni senso, in ogni tua particella, sei romano.
E il romano, alla fine, una cosa sa riconoscerla. L’amore. Se Francesco Totti incarna quell’aria canzonatoria di Roma ne è anche uno dei figli più illustri. In un mondo, quello pallonaro, fatto di marchettari che, onestamente e legittimamente, cambiano maglia con la stessa facilità con cui tutti noi cambiamo i calzini calzini - o i politici i loro partiti... - Totti ha dimostrato un amore incondizionato a questa città. Sacrificandole tutto. Ed è per questo che ne viene ripagato. No, non sono le giocate che incantano, o i gol al volo o di rapina. È quel pollice succhiato, quasi una metafora moderna di Romolo e Remo allattati dalla Lupa, che ne fa il «pupone». E i simboli, esattamente come il Marc’Aurelio, travalicano il tempo e divengono parte di quel dna che Roma trasmetterà ai suoi figli di domani. Caro Pierluigi Battista, rileggi il tuo articolo sul Corsera. Sono i simboli che restano. E Totti è un simbolo.