Una cosa è stata subito chiara a Luciano Spalletti, appena messo piede alla Roma: il percorso non era uguale per tutti. C’era chi andava in autostrada e chi era costretto a raggiungere la stessa destinazione del compagno percorrendo una statale. Magari ci riusciva pure, ma tanto la domenica giocava sempre l’altro, quello arrivato fresco e riposato dopo un viaggio comodo comodo. Così no, non poteva andare. Così Spalletti un giorno prese da parte Gervinho e parlò chiaro, anzi, urlò chiaro. Era il modo, il primo, di far capire allo spogliatoio che la musica stava cambiando. Che la legge davvero diventava uguale per tutti.
È una legge dura, in fondo pure scomoda, tortuosa, faticosa. Quante volte sarebbe più facile derogare, chiudere un occhio, affidarsi a chi sai già ti potrà portare a destinazione. Ma poi, così facendo, rischieresti di perdere gli altri. Spalletti così ha fatto. Alzando la posta come nessuno aveva mai fatto, rimandando a casa Francesco Totti una domenica mattina. Apriti cielo. Pareva l’inizio di una guerra. È stato l’inizio di una storia che non si sa ancora dove porterà, ma di sicuro si può dire che promette bene. Quella legge lì non conosce scorciatoie. Nel frullatore è finito Daniele De Rossi, lasciato fuori pure una volta dimenticato l’infortunio, perché altri (Keita, nello specifico) davano maggiori garanzie. Ma Spalletti ha sempre la stessa faccia, quella che in conferenza elogia pubblicamente Gyomber.
(gasport)