LA REPUBBLICA (M. PINCI/E. SISTI) - « Stasera me lo porto al ristorante». ha detto ieri il capitano, in vena di battute. È stato il Tapiro condiviso di “Striscia” a rilanciare la pax televisiva fra Totti e Spalletti. Ora Spalletti potrà tornare a dedicarsi alla “Roma Way”. Con o, più probabilmente, senza Totti. La “Way” sarebbe la strada nuova. O il modo nuovo. O entrambe le cose. Per il “vecchio” non c’è posto. Il tecnico sa di essere stato richiamato per cambiare la Roma nella sua globalità, non soltanto per allenarla. Pensiero e azione. Un mazziniano guida il Risorgimento di Trigoria. Sette anni fa la Roma l’aveva rigettato, gelosa dei suoi antichi vizi, incrostati sì, ma di una crosta dolce e seducente . «Io resterò a Roma, e qui cambieranno tante cose», ha detto pochi giorni fa alla squadra riunita. Un energico invito allo spogliatoio, se non proprio una minaccia: adeguatevi, se volete restare. Ha già riscritto le tavole della legge e pretende che siano rispettate. Perché questo avvenga, soprattutto in futuro, dovrà lottare contro le abitudini malsane di tutto ciò che ruota intorno alla Roma (chi di squadra vive ma non ne fa parte?). Quando ha detto di voler «completare l’opera» si riferiva anzitutto alla volontà di ripulire il club da tutti i limiti culturali e “ambientali” che l’hanno protetto e al tempo stesso impolverato, rendendolo spesso impresentabile, da tutte quelle sponde vittimistiche con cui per anni sono stati giustificati i secondi posti. Da tutti i vizi endemici, a cominciare dal rilassamento quando le cose vanno meglio.
A Bergamo la furia di Spalletti è esplosa per questo, subito dopo il 3-3 di Totti. Invece di riprendere il pallone di corsa e tornare a centrocampo la squadra ha perso tempo a festeggiare il capitano. Vizi. Bambinate. Il tecnico avrebbe voluto vedere altro: la fame negli occhi, per esempio. Vizi di campo e vizi da ritiro: Totti e altri avevano trascorso la notte giocando a poker on line, come otto o nove anni fa giocavano a carte. Spalletti detesta il disordine. I disordinati non vincono. Ieri al campo Totti e Spalletti sembravano rasserenati. Totti si è anche fatto incidere un nuovo tatuaggio dedicato alla piccola Isabel. Ma la questione del suo contratto è un tatuaggio sulla pelle della Roma. Resta finché qualcuno non gratta. Per la prima volta, parlando col dg Baldissoni, Totti non ha escluso di poter restare da dirigente. Ma a quali condizioni economiche? E a far cosa? Totti non è nei piani di Spalletti e nemmeno, si presume, nelle sue cene future («Giocare ancora qui? Non dipende da me...»). Ma alla luce del rendimento di giocatori scelti per errore dall’allenatore (che ha ammesso le sue colpe), non si capisce perché per cinque giornate lo Spalletti Style non possa convivere con la Roma di Totti e con tutto quello che di buono, in regime di part-time, il campione ha dimostrato di poter ancora garantire alla squadra (a cominciare da domani contro il Torino).
Basta con i privilegi, non con il buon senso. Fine delle distrazioni, giusto, però uno sguardo ai “piedi” si può sempre dare. O no? Nel frullatore del processo finiscono anche senatori come Nainggolan, Pjanic, Manolas. Tutti imputabili, il blasone non conta. Non è escluso nemmeno che il “padrone” non sia così agitato e preoccupato per via del futuro. I conti impongono alla società di rientrare prima del 30 giugno di 40-50 mln, che tradotto vuol dire cedere giocatori. Qualcuno dei migliori può partire e Spalletti lo sa. Senza contare che con una Roma quarta, da Europa League o da preliminare di Europa League (se il Milan vince la Coppa Italia) Spalletti potrebbe pure andarsene. La nazionale chiama e forse ha già chiamato. Lui vorrebbe restare. Il sogno è lastricare la “Roma Way”. Possibilmente di mattoni gialli come nel “Mago di Oz”. Così raccontare la favola di una Roma che prima o poi vincerà magari viene più facile. Vai a sapere.