IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Chissà cosa avrà pensato Diego Perotti quando Luciano Spalletti gli ha chiesto di giocare alla Totti? Mica facile come compito, no. Non guardiamolo adesso Francesco, un quasi quarantenne dal tocco vellutato ma dalla corsa dispersa nell’età, pensiamolo invece quando segnava a raffica, si divertiva e un popolo si divertiva con lui, quando aveva molta forza e, ahitutti, molti anni di meno. Quel Totti forse è irripetibile, perché i sommi poeti lo sono ma restano immortali per ciò che hanno fatto. Perotti non è e non sarà Totti, ma vedendolo giocare, in buona parte lo ricorda almeno per l’interpretazione tattica. E avere Francesco vicino negli allenamenti aiuta e chissà se sarà così anche l’anno prossimo: il capitano vorrebbe, Pallotta rischia di ripartire senza aver concesso risposte definitive o comunque senza quella firma del contratto.
L’IMPATTO Perotti ha avuto nella Roma un impatto di altissimo livello. Ragazzo umile, forte dentro, con lo sguardo di chi non si spaventa da ciò che gli gira intorno. Il classico argentino che non si perde nei ricami. Ma quei ricami in campo si vedono. E’ arrivato nell’ombra della diffidenza, ora è un protagonista. Questa Roma non gioca con quel 4-2-3-1, Perotti non è l’uno. Ma ha la forza di essere trino, da nessuno (per la diffidenza con cui è stato accompagnato il suo arrivo) a centomila (per i tanti modi di interpretare se stesso: è regista avanzato (uomo assist), esterno destro e/o sinistro (il cross gli riesce bene), e centravanti (il movimento che fa sul gol alla Fiorentina è da bomber di razza). La Roma di Spalletti 2.0 è l’eterno movimento di uomini dai piedi buoni: parte El Shaarawy, parte Salah, parte Pjanic, tutti dentro, Perotti compreso. E gli avversari vanno in difficoltà. Non a caso la Roma è tornata a fare tanti gol (59, 22 nell’èra Spalletti, più di 3 a partita).
EDIN IN ATTESA Spalletti ora è uomo di mondo, ha studiato le grandi squadre, brave a giocare senza punti di riferimento, senza il classico centravanti d’area, che diventa una soluzione in corsa più che di partenza. Per questo oggi Dzeko è in difficoltà. Strano ma vero: Spalletti, specie nella Roma, ha sempre voluto a una punta vera, ma alla fine, per un motivo o per un altro, ha sempre dovuto rinunciarvi. Ecco perché nacque quel Totti, ecco perché ora è nato questo Perotti, solitamente abituato a giocare sulle fasce, anche se Gasperini al Genoa, non con questa continuità, gli ha fatto fare pure il centravanti di manovra, così si chiamava una volta, oggi lo chiamiamo falso nueve. E oggi ci si chiede, specie in vista della sfida di domani a Madrid: Dzeko o Perotti? E perché non entrambi? Edin può serenamente stare con l’argentino alle spalle, o ovviamente anche al suo posto. Diego viene anche da un leggero infortunio muscolare, questo potrebbe far pesare la bilancia dalla parte del bosniaco, già escluso nella sfida di andata. L’esperienza di Edin in Champion lo fa preferire, specie se si considerano le sole nove (8 con il Siviglia, di cui due nei preliminari, e una con la Roma) presenze in questa competizione dell’argentino che, oltre al paragone tattico con Totti si porta appresso pure il nome di Maradona, cioè Diego, un dolce regalo di papà Hugo, amico fraterno del “10” per eccellenza.
IL BERNABEU Giocare al Bernabeu non è facile per nessuno, e in teoria è un po’ meno complicato per chi conosce bene la Champions. Ma su quel campo la Roma ha vinto anche con gente non espertissima, quindi se Perotti starà al top dovrà assaggiare il battesimo del fuoco. Tra l’altro fin ora ha segnato due gol (tre assist), entrambi all’Olimpico. Manca la gioia esterna. Chissà. «Perotti mi sta entusiasmando, corre più di tutti e toglie sempre tranquillità al mediano avversario. Poi quando gli dai palla ha questa corsa ondeggiante che mi ricorda un po’ Martin Jorgensen, che ho avuto all’Udinese. La società ha fatto davvero un grande acquisto». Sono le parole di Spalletti, pazzo di Perotti. Certo, da Totti a Maradona, passando per Jorgensen... Lucio è uomo di sostanza, evidentemente. Come Diego del resto.