PANORAMA (A. LEOGRANDE) - Non camminava più da così tanti anni per le strade della città che lo aveva acclamato e pregato come un santo, da non riuscire più a capire cosa pensassero di lui i suoi abitanti, quale fosse il loro umore profondo. Lo intuiva, ma non riusciva ad afferrarlo. Ora non faceva altro che ripetere ai consiglieri che gli si accalcavano intorno che "il successo è più amaro del fiele" o frasi del genere, sempre un po' sopra le righe, come quella che aveva letto in un libro e che diceva "la gloria è il sole dei morti" ... Quando l'aveva letta, aveva creduto che fosse un po' iettatoria, ma poi aveva iniziato a ripeterla come un mantra. Era stato amato come un re in una città la cui storia è talmente impastata di potere e sottopotere, da cercare in altri ambiti una spuria sacralità. Ad esempio, negli stadi stracolmi di gente in cui ogni settimana entrava per primo, il petto in fuori come una statua del Foro Italico.
Sempre più insistentemente meditava sul tempo. Ma non il tempo dei preti e dei filosofi, né quello dozzinale degli orologi. Il suo, di tempo. Quella della caducità del suo corpo, dei suoi muscoli, dei suoi polmoni... Ciò che gli faceva veramente male era l'aver capito che proprio la parte di città che riteneva essere il basamento inscalfibile del suo impero,ora dava ragionea chi aveva iniziato a mandare in frantumi il suo carisma. Era questa la vera sconfitta, ancora più della caducità del tempo. Tanto che, in alcuni momenti immaginava che l'unica soluzione fosse quella di fuggire il più lontano possibile dalla città millenaria, magari nella più sperduta provincia dell'impero.