LA REPUBBLICA (E. SISTI) - A più cinque sulle quarte senza dare il massimo (forse ieri un vero e proprio massimo non c’era). Ottava vittoria consecutiva raggiunta con molto merito (primo tempo) e successivamente con qualche affanno (secondo tempo). Ma per fare 24 punti su 24 occorre accettare dei compromessi. Spalletti loda più la fatica della bellezza: “Splendida Roma, specie quando abbiamo gestito le difficoltà”. Se non chiudi i conti il campo può rovesciare i valori: “Tu scendi e l’altro sale. Se non fai le cose giuste al momento opportuno, lo faranno gli altri perché sei stato tu a dargli fiducia. Mi è comunque piaciuta la nostra determinazione nel soffrire, quello stare tutti insieme a lottare da stanchi. Abbiamo una visione comune, vediamo una luce là in fondo”. La versione dantesca di Spalletti evoca purificanti traguardi collettivi da conquistare col sudore e col talento. Inarrestabile nel primo tempo, nella seconda parte di gara Perotti appariva offuscato dai chilometri percorsi con e senza palla. Ma il merito della visione del suo mistico allenatore è anche suo. Ubiquo e moderno (fosse più veloce ricorderebbe Di Maria), Perotti ha trascinato la Roma muovendosi per 45 minuti da regista avanzato, esterno pronto a tagliare, rifinitore, portatore d’acqua, finalizzatore. L’Udinese aveva un centrocampo senz’anima e con pochi corpi a disagio, era terrorizzata all’idea di scoprirsi, i difensori ciondolavano, gli attaccanti spaesati e Thereau era libero di sbagliare tutto per mera solitudine. Roma avanti con Dzeko (15’) e in credito per altre tre occasioni. L’Udinese metteva a referto un tiro di Lodi da fuori (maluccio Szczesny).
Nella ripresa la Roma s’abbassa come il sole del pomeriggio. Più fa scuro e più l’Udinese rimodellata con l’inserimento di Zapata, che coglie un palo (3’), immagina riscosse. Colantuono (“se mi cacciano non sono il primo né sarò l’ultimo…”) se la gioca all’antica, palla lunga sull’ultimo uomo e sponde come a biliardo. La Roma perde equilibrio e distanze, il possesso palla si complica. Spalletti mette Pjanic per provare a dare una tinta allo scolorire del sembiante. Ma Pjanic fa molto di più. Velocizza, inventa il 2-0 innescando da fuoriclasse l’eccezionale numero di Florenzi per lo 0-2 (29’), pecca di altruismo quando è solo davanti a Karnezis per lo 0-3. Benché al sicuro, la Roma dell’ultimo quarto d’ora può offrire a se stessa e al suo futuro solo motivazioni e testardaggine. L’ossigeno se l’è svignata, le gambe sono tronchi. Spicca solo Manolas, furente nelle chiusure sino alla fine. In un buco sulla sinistra, dove Digne dovrebbe dettar legge ma ormai, stremato, ara il prato con le rotule, fra Matos, Zapata e Bruno Fernandes prende forma, a sponde, l’1-2 (40’). Invece di riaccendere le speranze la mezza rimonta rende più amaro e assurdo il finale friulano. A fine partita i giocatori patiscono la “vietata” gogna sotto la curva. Non mancano insulti, lanci, tentativi di rissa. Scena brutta a vedersi almeno quanto bello e commovente era stato prima il duetto fra Totti e Di Natale durante l’inutile riscaldamento (non sono entrati). Chiacchiere, abbracci, risate. Una pietanza cucinata con l’unico ingrediente dell’affetto che può legare due campioni vintage (insieme fanno quasi 80 anni). Condivideranno per sempre un rammarico: non sapere come sarebbe stato “farlo insieme”. Il loro meraviglioso calcio.