IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Un bel tipo questo Stephan. Italiano musulmano, tanto per dirne una, note sono le sue origini egiziane (il papà Sabry, psicoterapeuta nato in Egitto, la mamma Lucia è di Savona): «Sono credente, mi limito a non mangiare maiale e non bere. La religione per me è soprattutto una questione di valori e di abitudini quotidiane legate alla mia famiglia. Quando mia madre ha incontrato mio padre, si è appassionata alla lettura del Corano e poi ha deciso di convertirsi. Lei è molto credente, ma noi ragazzi siamo cresciuti in Italia, con compagni italiani», disse qualche tempo fa El Shaarawy. Mangia il giusto, non beve eppure passa per ragazzaccio vizioso. Proprio quei vizi, si racconta (o si maligna), lo avrebbero tenuto lontano da una carriera nata folgorante. Ma c’è tempo per renderla di nuovo tale, per riconquistarsi il passato attraverso il futuro nella Roma. Stephan parla di caccia alla svolta, che oggi è un obiettivo vecchio. Perché se ne parlava già quando aveva vent’anni e quando nel Milan segnava come Shevchenko e valeva un sacco si soldi, tanti da renderlo inavvicinabile e lo stesso Milan non aveva alcuna intenzione di mollarlo. Oggi lo ha addirittura scaricato, per non parlare poi del Monaco.
UN LASER - Quella svolta è stata poi superata dagli infortuni, dall’assenza di continuità, dalle, raccontano sempre i ben informati (o maligni), cattive compagnie. El Shaarawy s’è perso. E chissà se ritorna. «Tira in porta da qualunque posizione, ha la precisione di un orefice. Sembra un laser, sa sempre prima dove il pallone andrà a chiudersi. Mai visto un ragazzino così leggero e così continuo, così insistente nelle cose impossibili», scrivevano di lui prima dell’oblio. Oggi è tornato a fare cose impossibili: un tacco alla Ibra, nella porta dove, sempre di tacco, aveva fatto centro Mancini in un derby. El Shaarawy ha la giocata fulminea, la si notava quando era ragazzino, quando era (e lo è ancora) amico di Perin e stava nella Primavera del Genoa e aveva fatto piangere la Primevara della Roma. Scatto, resistenza, utile da esterno, trequartista, ala. Come si è affacciato alla Scala di Milano, lo hanno paragonato a Kakà, lui da bambino, passando prima del Genoa sui campi di Legino e poi a Cogoleto e Pegli, provava l’elastico di Ronaldinho, che riproponeva pure con la Playstation. Una fissazione.
LA CRESTA NECESSARIA - La cresta è diventata un marchio identificativo, come certe sue giocate. Da un po’ era rimasta solo la cresta. Ha modificato i capelli, fa molto personaggio. Ha scelto di non marchiarsi la pelle con tatuaggi, di non portare orecchini. I suoi capelli anarchici lo avevano spinto a trovare una soluzione che li tenesse bloccati. Grazia a Salvo, il suo barbiere di Arenzano, vicino Genova. Quella cresta è stat contestata ai tempi anche da Berlusconi, padre e padrone dei diritti civili dei suoi calciatori. Ma era talmente bello veder giocare e segnare Stephan che Silvio optò per la conversione: «Se fai gol, puoi anche tenerla». Non l’ha più tolta, anche quando i gol aveva smesso di farli. Se la salute non gli dichiara guerra, Stephan diventa una garanzia per Spalletti. «Gervinho voleva andare via, El Sharaawy voleva la Roma. Non ho avuto dubbi: ho scelto El Shaarawy», ha detto Lucio. Colpo di tacco, così ha detto grazie al mister.