LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Missione compiuta con la fronte imperlata di sudore. Più verve d’insieme e strategia del collettivo nel primo tempo, più classe dei singoli per provare a chiudere la partita all’inizio del secondo. Poi tante sbavature, tanto coraggio ma soprattutto, tanta sofferenza fisica per tenersi quei tre punti che la Roma s’era messa in tasca sul 2-0, certa di aver chiuso la partita. Ma non aveva fatto i conti con se stessa, con le amnesie, con i risvolti più torbidi del suo recente passato, che nemmeno Spalletti è ancora riuscito a toccare. Non immaginavano che un rimpallo potesse rimettere in discussione la terza vittoria consecutiva, che le gambe di qualcuno (Keita e Pjanic) costringessero quelle degli altri a spremersi oltre misura per non farsi rimontare per l’ennesima volta, che Cassano, se non fosse stato per Szczesny, a due minuti dalla fine avrebbe pareggiato, e che Cassani, se non fosse stato per la traversa, avrebbe fatto lo stesso nel recupero. Col cuore in gola, terminando il suo inatteso calvario in uno stato di febbrile impotenza, la Roma comunque sale. Nella domenica dei pareggi a catena, approfitta dei negozi aperti dal passo ridotto di Fiorentina e Inter e va a comprarsi un posto migliore in classifica. Spalletti chiedeva “stile”: ebbene forse c’è un po’ di stile anche nel saper sfruttare le occasioni che trovi per strada. Ma a che prezzo. Gli altri snocciolano pareggi, la Roma vince e torna a due punti dal terzo posto.
I giallorossi erano partiti alla garibaldina, belle densità mirate, recuperi, difesa a tre, a tre e mezzo, a quattro. Modulo flessibile. Per quindici minuti, sensazione di efficienza e vitalità. Ma l’approccio filosofico di base costa fatica (lo abbiamo visto a Reggio Emilia). Nei primi otto minuti, in questa Roma vitaminizzata con la scadenza scritta sul fianco dei giocatori, si sono alternati da ultimo uomo, nell’ordine, Salah, Perotti, El Shaarawy e Pjanic. Sale la popolarità di Rüdiger: il tedesco vola come un altro tedesco, è sempre più sicuro e amato, specie dopo le sue prestazioni in romanesco alla tv. Spalletti non perdona niente, strilla come un ossesso. A destra Salah è temporaneamente imprendibile. Due le occasioni clamorose, El Shaarawy (20’) e Florenzi (21’). Poi la Sampdoria si compatta e la Roma comincia a sbattere contro gli avversari, perdendo intensità, alcuni mostrano già segni di decadimento organico (Keita e Pjanic).
Montella sapeva tutto, sapeva che la Roma sarebbe partita a canna, ringhiando sui recuperi palla, ma sapeva anche della fatica che certe strategie fatalmente provocano. Così, per paradosso, i giallorossi segnano in contropiede. Il tiro di El Shaarawy sbatte su Cassani e diventa un cioccolatino per Florenzi che aveva iniziato l’azione: di testa trova l’angolo (45’). Secondo tempo con la Roma a 4-3-3 (con Digne per Zukanovic). Perotti, il migliore, al volo sogna di chiudere il match (2-0 al 5’ st), Pjanic sfiora il 3-0. Al 12’ la Sampdoria trova l’1-2 con un rimpallo e riapre la partita senza quasi accorgersene. El Shaarawy si divora un altro gol. Ma ormai la Roma è stremata. Il primo effetto è che finisce per difendere così bassa che il passo successivo sarebbe quello di mettersi tutti dentro la porta. Entra Dzeko per un 4-5-1, peccato che il bosniaco svolazzi incorporeo come un fantasma gentile. Entra Cassano e invece son dolori per i giallorossi. Da fermo manda in tilt mezza Roma, che rischia di tutto. Ma si salva.