IL TEMPO (A. SERAFINI) - Complicate, discusse, sfortunate, talvolta drammatiche. Perché il peso della fascia di capitano della Roma, spesso entra in conflitto con la grandezza dell’uomo e del calciatore. O addirittura della sua storia. Il passato recente in giallorosso ha collezionato storie di grandi capitani, che per motivi differenti, sono stati spesso e volentieri costretti a interrompere o ad aprire un conflitto con la squadra, i tifosi, la città.
Il fragore suscitato dall’insoddisfazione di Francesco Totti si è aggiunto quindi a una lunga serie di episodi, ognuno a suo modo, entrato a far parte delle pagine più discusse dei quasi 89 anni di storia della società giallorossa. Avrebbe avuto una carriera scintillante Francesco Rocca, detto «Kawasaki», colpito dal destino e da quelle cinque operazioni al ginocchio che lo strapparono troppo presto dalla storia del calcio italiano e in particolare dalla sua Roma. Anche «Ciccio» Cordova fece parlare di sé dopo la decisione della dirigenza dell’epoca di non puntare piú su di lui, che lo convinse a togliersi la fascia e attraversare l’altra sponda del Tevere pur di non rinunciare alla vita felice costruita nella capitale.
E mai verrà cancellato il ricordo di Agostino Di Bartolomei, colui che forse più di chiunque altro ha incarnato per la prima volta la figura del capitano giallorosso. Un rapporto complesso, dettato da immense gioie e profonde incomprensioni. Il 24 febbraio del 1985 Ago, ceduto sei mesi prima al Milan perché ritenuto incompatibile con il corso di Eriksson in panchina, ritorna nel suo stadio, di fronte a quelli che per sempre sarebbero stati i suoi tifosi. Nonostante la maglia rossonero addosso, l’Olimpico lo applaudì prima di crollare di fronte al proprio amore: Bruno Conti e Ciccio Graziani non si tirarono indietro, scoppiò una rissa e volò qualche pugno. E alla fine gli insulti non risparmiarono nessuno, compreso Agostino.
Una crepa annunciata dalla gara d’andata a San Siro, quando quell’esultanza fu per qualcuno ancor più dolorosa del gol siglato proprio dallo stesso Agostino che decretó la sconfitta della Roma e il successo del Milan. Il carattere schivo e riservato sommato all’abbandono di un mondo in cui probabilmente non si è mai riconosciuto, contribuirono al drammatico gesto di togliersi la vita a dieci anni esatti dalla finale di Coppa Campioni persa con il Liverpool.
Poi gli anni '90, quelli di una Rometta traballante, ma aggrappata ai capelli lunghi di Giuseppe Giannini, il tifoso in grado di scendere in campo per sorreggere la squadra. Gli ultimi anni della carriera non filarono però così lisci: dai botta e risposta con il presidente Franco Sensi, che gli riservó un glaciale «chi sbaglia un rigore non é degno di giocare nella Roma» dopo l’errore dal dischetto nel derby della stagione 1993/94 (penalty procurato da un giovanissimo Totti), al trasloco a parametro zero (a contratto scaduto) allo Sturm Graz e alla festa di addio rovinata all’Olimpico da un’invasione di campo incontrollata fino alla scelta del «Principe» di indossare la maglia di un club rivale come il Napoli, scelta mal digerita in quel preciso momento storico da una parte della tifoseria.
La storia recente accecata dalla luce di Totti, ha ovviamente chiuso il «futuro» di quello che avrebbe potuto esserlo. Come Daniele De Rossi. Un «ostacolo» superato nel corso degli anni tra discussioni e abbracci di riappacificazione, sempre per il bene della Roma.
Adesso è toccato a Francesco, perché l’olimpo dei campioni difficilmente ha risparmiato qualcuno, anche di fronte a una bacheca piena di successi. La storia dei capitani maledetti, peró, non si ferma solo a Roma e alla Roma. In Italia, negli ultimi anni, un trattamento del genere é stato riservato dalla Juventus e dal Milan alle bandiere Del Piero e Maldini. Gli amici Alex e Paolo sono pronti a raccontarlo al vecchio compagno di avventure azzurre Francesco.