DAGOSPIA (G. DOTTO) - Le notizie da Boston rituffano la Roma nel suo brodo primordiale, l’acqua pazza. Di stabile a Trigoria c’è solo, forse, il cancello all’entrata. Un presidente sempre più lontano e forse ora anche evasivo e una squadra che non c’è più. Semplicemente. Evaporata e greve, come i suoi passi, come la sua testa, come il suo culo di pietra. Testa, gambe, culo, anima, fate voi, di che frattaglia si tratta, la realtà è questa. Sembrano quasi tutti grassi e pesanti, anche quando sono magri. Il ritorno a casa del Prodigo aveva acceso speranze. Tutti sono pronti a farsi affascinare dal domani.
“Questo sentimento popolare che nasce da meccaniche divine, un rapimento mistico e sensuale”, per dirla alla Battiato. Spalletti ha occupato Trigoria con i suoi uomini e le sue parole. Ha provato a esorcizzare alibi o debolezze. Ma la malattia è troppo più grave delle buone intenzioni.
Per farsi forza, ha persino provato a reinventare il suo “eccitante” 4-2-3-1, ma Naingoo, quel che resta di lui, non ha un’oncia della verticalità di Perrotta e Pjanic ha l’astenia cronica delle donzelle ottocentesche, senza avere nemmeno un quarto della sapienza calcistica e della vitalità del Divino Botolo, alias Pizarro. Aggiungi, anzi sottrai, Dzeko. Imbarazzo allo stato puro. Se non avessimo certezze inequivocabili del suo passato, ci spingeremmo a scrivere di un brocco totale.
Sbaglia tutto, ma proprio tutto, quattro occasioni enormi, e riesce a prendere un palo da due metri a porta vuota. Dopo averlo amato fino a negare l’evidenza, quel che resta dell’Olimpico lo ha fischiato, non potendone più. La nota più malinconica e quasi irraccontabile per quanto crudele arriva da Leo Castan. Aveva detto a Spalletti: “Fammi giocare, non te ne pentirai”. Si è pentito, eccome. La goffaggine del rigore è stata l’ultima di una lunga serie. Questo non è Castan, ma non è nemmeno un giocatore di calcio. Altro non possiamo e non riusciamo a dire. E Pazzini alla Roma segna sempre. Miracolato anche il Verona di Delneri. Tutto dire.