IL MESSAGGERO (M. CAPUTI) - Gli alibi sono finiti. Anche se questo folle campionato la mantiene ancora in teorica corsa, la Roma italo americana è spalle al muro. Sono tutti colpevoli.
La società. Filosofie e progetti di un calcio nuovo sbandierati e poi mutati in pochi mesi. Scelte sugli allenatori sbagliate, partendo da Luis Enrique troppo giovane, per passare a Zeman preso solo per accontentare la piazza, finendo con Garcia confermato a giugno scorso nonostante la sfiducia evidente. La squadra è stata costruita e smontata a ogni stagione, senza un criterio che si sia rilevato vincente e corretto, con acquisti di decine di calciatori inutili di cui si è persa traccia. Il tetto ingaggi è spropositato per risultati e qualità. Un presidente assente il cui unico obiettivo appare lo stadio e che, se viene a Roma, non mette piede a Trigoria. Distacco totale con la piazzae rottura con i tifosi che disertano lo stadio. In cinque anni un solo e unico segno di continuità: la plusvalenza.
L’allenatore. Il campanello d’allarme è suonato il primo anno quando, a secondo posto acquisito, concesse alla squadra di staccare la spina, terminando con il pesante di stacco di diciassette punti dalla Juventus. Un segno di debolezza confermato con il passare dei mesi, visto che non è mai più riuscito ad avere il controllo di giocatori e squadra. Come un campionato fa, a novembre, il crollo e l’incapacità a trovare soluzioni efficaci. Unico tormentone: la preparazione fisica e gli infortuni. In tre anni non è riuscito a cambiare nulla, la prevedibilità tattica e la totale mancanza di organizzazione difensiva sono tali che affrontare la Roma e metterla in difficoltà è un gioco da ragazzi.
I calciatori. In pochi si sono assunti responsabilità, e in tanti sono stati sopravvalutati. Lapersonalità latita,come debole è l’impegno negli allenamenti.