LA REPUBBLICA (M. PINCI / E. SISTI) - Sul volo che lo porterà nel pomeriggio a Roma, il cuore gli sarà sembrato un cespuglio di spine. James Pallotta, il primo presidente americano della serie A, è sempre più straniero. A “casa” lo aspettano forconi e carote, contestatori interni e burocrazie farraginose. Quante ansie: l’Olimpico svuotato e polemico, i tifosi che contestano (e che lui definì “fucking idiots”), la squadra che colleziona figuracce, la comunicazione del club che sbanda, il nuovo stadio sempre più chimera, disperso in un dedalo di delibere e dossier. Manca da 170 giorni, Pallotta, e in questi sei mesi le prospettive di sviluppo sono diventate un filo all’orizzonte.
«This land will be my land», disse. Disse anche che avrebbe voluto presto imparare l’italiano. Ci avrà ripensato. Ha investito 120 mln in 5 anni, ha riesumato un club morto portandolo ai vertici in Italia: eppure è nemico dei suoi stessi tifosi. «Che succede qui?», si chiede di fronte alla piazza romana che gli dà del “bidet” sporcando il bianco parapetto del Lungotevere. L’Olimpico si svuota di più ogni domenica, gli ultrà disertano e poi incolpano lui d’immobilismo. Scrive al prefetto Gabrielli, chiede un incontro per risolvere la questione e quello nemmeno gli risponde. Intanto la città giallorossa fonde di rabbia contro il “suo” presidente. Persino le poche parole per presentare sui social l’ iniziativa della Roma e di Telethon in favore dei bambini disabili («una o due sconfitte non hanno alcun significato di fronte alla vita e alla salute dei nostri bambini») scatenano uno tsunami ributtante di reazioni velenose, ingiustificate. «Sciacallo», «Usi i bambini per coprire le tue mancanze», «Ridicolo », «Fallito», «Maiale», «Vattene, sparisci». Un festival dell’orrore cui altri post tentano di ribellarsi.
È come se nemmeno la pizza romana, dopo la piazza, riservasse a Pallotta una sola fetta saporita. Anche il progetto dello stadio di Tor di Valle fatica a decollare: il piano da oltre 1 miliardo, di cui 50 milioni già spesi, è congelato in attesa di completare la documentazione: lunedì spera di colmare le lacune e scongiurare il rischio che un nuovo consiglio comunale ritratti la delibera sul pubblico interesse. Nel frattempo dovrà gestire pure la questione Totti, contratto in scadenza, infortunato, con tanta voglia di giocare ancora (ma c’è chi dice che potrebbe smettere).
Dopo cinque anni d’avventura, il sogno romano di Pallotta s’è incastrato fra gli incubi di una città stranita e diffidente. Non è impossibile che il suo entusiasmo di tycoon appassionatosi forse troppo e forse troppo presto possa svanire e che ciò lo porti a sganciarsi. E adesso c’è anche una crisi tecnica, forse da affrontare subito, senza aspettare l’estate. C’è una squadra disidratata da mille disagi, impoverita da paure accresciute con le mortificazioni, incapace di esprimersi, discontinua. Una cena fra giocatori e il probabile ritorno di Gervinho avrebbero ridato fiducia allo spogliatoio alla vigilia del Torino (oggi alle 15). Basterà un antipasto e un buon primo condivisi prima di entrare in ritiro per tornare a essere la Roma corta e cattiva che punta in alto?