Roma, Dzeko e Gervinho firmano il derby senza curve. Lazio spenta e arrabbiata

09/11/2015 alle 14:15.
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LA REPUBBLICA (E. SISTI) - E' Roma, una Roma corta, cattiva, che ringhia nei punti più disparati, che trova la luce nel sacrificio dei suoi piccoli ma grandi attori di giornata, come , tosto al punto da schiantarsi contro un palo e mettere a rischio più la vita del palo che la sua (tutta la porta vacilla a lungo), o come l’inatteso , finalmente protagonista, sempre al centro delle discussioni più importanti, quando c’era da far muovere palla e avversario: è una Roma formato Firenze, rapida, raccolta, senza fronzoli, quella che lentamente sposta la lancetta del derby dalla sua parte, impedendo alla Lazio ogni sortita ragionata o prolungata, mettendo bavagli alle fasce, dove Candreva ne approfitta per confermare il suo inaccettabile stato di forma e dove il solo Anderson, per tre volte, ma in un arco di tempo infinito, riesce a colpire una traversa nel primo tempo (bellissimo gesto) e a far ammonire e nel secondo.

Gocce in un deserto d’inventiva e lucidità complessiva. Ma sia chiaro: è stata la Roma a costringere la Lazio a guardarsi allo specchio e a scoprirsi molle e sdentata, incapace di misurarsi contro un gruppo che la pressava alta, minacciando in continuazione i suoi fragili portatori di palla. La Roma ha vinto come squadra e come singoli. Dove la Lazio sbagliava passaggi elementari e fluiva lentamente, passiva e stordita, alla congrega capitanata da un tornato ai livelli di un anno e mezzo fa e per la prima volta con la fascia al braccio, padrone assoluto dei palloni vaganti, creatore e distruttore, veniva facile offrirsi a ventaglio (pur nello scenario desolante di uno stadio mezzo vuoto e di cinque Daspo comminati), aprendosi e chiudendosi, impedendo, esattamente come a Firenze, che i suoi rivali avessero prima lo spazio e successivamente la voglia di esprimersi con adeguata qualità e relativa sostanza. Il meglio della Lazio è stato Anderson intermittente e un po’ di nella ripresa, ma a giochi fatti. Il peggio nell’imprecisione madornale di Biglia, nella lentezza di Parolo e nei nervi inconcludenti di Radu e Lulic (per il suo brutto intervento sulla caviglia destra di , l’egiziano è tornato a casa in stampelle). Per non parlare dell’assente Djordievic. Il meglio della Roma, che non ha avuto un peggio, s’è manifestato subito e ha avuto effetti contagiosi per l’intera partita su ogni singolo elemento, ogni secondo una lotta, ogni metro d’erba un raddoppio.

Pur senza la Roma ha avuto testa dall’inizio alla fine e nessun biancoceleste, nemmeno Pioli, ha trovato l’uscita dall’imbuto. Al rigore precoce trasformato da (il fallo di Gentiletti era iniziato fuori area), hanno fatto seguito costanti e inquietanti presenze giallorosse al limite dell’area biancoceleste, protrattesi sino alla fine, con un crescente stato di confusione provocato deliberatamente. Pochi tiri laziali, molte occasioni per la Roma, a campo aperto o nello stretto. Due pali, oltre Anderson anche . La Roma ha avuto punte d’eccellenza in , , nel belga e nello spettacolare Gervinho, anche lui restituito a una dimensione intollerabile per gli avversari. Il doppio show dell’ivoriano nella ripresa è stato emblematico: prima stop a seguire nella prateria di fascia, due minuti dopo, per ribadire il concetto, taglio centrale sulla verticalizzazione di , bruciato Basta, tutto a una velocità incontrollabile. Il derby finisce lì.