LA REPUBBLICA (M. PINCI - E. SISTI) - Un bel dì abbiamo visto levarsi un fil di fumo. Era il comignolo dell’Olimpico. La Roma stava bruciando con tutta la panchina. Senza pietà verso se stessi, i giallorossi si erano appena consegnati all’Atalanta. Impotenti o indifferenti avevano messo nelle mani di Reja e nei piedi di Gomez una fetta consistente della propria dignità. Il team che voleva far sognare adesso toglie il sonno. «Occhio all’Atalanta!», avrebbe dovuto dire Luis Enrique. Il rischio del fallimento crepita sotto la cenere prodotta da calciatori irriconoscibili e da dirigenti confusi o assenti. Ieri l’Olimpico era spettrale, si sentiva odore di resa generalizzata, di rassegnazione. I fischi e quella decina di secondi in cui la poca gente romanista non ha potuto fare a meno, allibita più che disperata, di intonare il classico «sciavete roootto er....zo!», suonavano strani, come fossero in playback. Ma il vuoto più pesante non era in curva, era in campo: «Se ci scolliamo ora facciamo il botto», ha ammesso De Rossi, colpevole come gli altri, forse stanco di tutto come gli altri. Per una volta coerente e “continua”, la sua Roma si dimenava senza un barlume di vera intensità, senza una vaga idea di come disporsi in area per il cross, evitando di lasciare scoperto il secondo palo, senza voglia di cercarsi e con il sistema nervoso in tilt. Forse volevano dimostrare che ci sono prestazioni e risultati più vergognosi di un 6-1 al Camp Nou. Esistono almeno tre modi di perdere 6-1 a Barcellona e la Roma ha scelto il peggiore.
Ma c’è un solo modo per farsi umiliare dall’Atalanta in casa: giocare senza giocare, scoprire che i propri impulsi provocano cruciali ritardi di decimi di secondo ad ogni esecuzione. Ecco perché la difesa lombarda (che non ha mai fatto barricate) ha respinto tutto, arrivava sempre prima o sapeva sempre prima dove sistemarsi col corpo o dove allungare il piede o la testa. Se giochi molle perdi contro chiunque, senza lati positivi da salvare. Dopo Barcellona Garcia disse: «Almeno nessuno si è fatto male». Ieri forse avrebbe potuto dire: «Almeno le docce erano calde». La Roma ha 16 giocatori (tanti Garcia ne vede) e ormai hanno la lingua di fuori, alcuni sono sfigurati dal correre, alcuni sono infortunati. Sembrano tutti ragazzi invecchiati di colpo, nell’aspetto, che di colpo hanno anche perduto l’entusiasmo della giovinezza, nel cuore. Ieri è stato Digne, il più costante di tutti, a servire a Gomez la palla dello svantaggio e del tracollo (Denis ha raddoppiato su rigore). Un errore iniziale ma terminale, quello del francese. Povero Digne,stavolta ha fatto rima con rogne. Non ha un sostituto, forse non ce la fa più nemmeno lui. E ieri il tracollo è stato più umano che tecnico, più dentro che fuori. Vanno in malora anche i motti: «La Roma non si discute, si ama». All’uscita ritoccavano: «La Roma non si discute, si sgama». Ossia non ci sono più nascondigli, ormai si gioca a carte scoperte e non è certo consolante vedere Dzeko e Pjanic dettare o eseguire passaggi “normali” al massimo per una o due volte. L’Atalanta ha vinto perché è stata aggressiva sapendo che la Roma o era pronta a riscattarsi o era ancora sotto botta.
Si sono presentati attori che avevano dimenticato le battute e Gomez ha applaudito perché per un attimo avrà creduto che fosse uno scherzo. E dietro la Roma senza memoria e senza alcun suggeritore nella buca non c’è un giacca e cravatta pronto ad aiutarla, forse perché più smarrito di lei. «Garcia resta», dice il ds Sabatini. Il 9 dicembre, giorno del Bate, arriverà Pallotta, l’unico in grado di tirare una riga, decidere del futuro di Garcia in un senso o nell’altro. I quasi 20 milioni garantiti dagli ottavi faranno tutta la differenza del mondo, in un senso o nell’altro. L’eventuale dopo Garcia non ha nomi certi ma solo suggestioni, Lippi da cogliere in corsa, Conte, con cui non è mancata una certa corrispondenza, per l’anno prossimo, Di Francesco che piace, s’è parlato di Schimdt. Ieri Sabatini ha avuto un colloquio con i calciatori nella pancia dello stadio. Forse temeva che qualcuno di loro cedesse alla tentazione di festeggiare i 10 gol subiti in 9 giorni con un aperitivo. E Garcia? Dopo aver respinto l’idea delle dimissioni, una follia con tre anni di contratto a 230mila euro netti al mese, l’allenatore ha vagheggiato l’ipotesi che siano altri i responsabili del cedimento strutturale (il preparatore Norman imposto dal club?). Ruggine per togliere ruggine. Così non se ne esce, così non pulisci niente.