IL TEMPO (T. CARMELLINI) - Roma cercasi: disperatamente... e prima che sia troppo tardi. Ma agli annunci pubblicati sulla gazzetta emotiva dei tifosi, nessuna risposta.
Dopo il bagno di sangue catalano la squadra di Garcia era chiamata al riscatto. Serviva un segnale di risveglio, un moto d’orgoglio e non solo per rianimare i tifosi, ma anche per dare un cenno di vita e dimostrare di poter dire ancora qualcosa in questa stagione per certi versi già maledetta. Un po’ come successo prima della sfida con i fenomeni del Barcellona: nessuno aveva chiesto ai giallorossi di vincere (impensabile: imbarazzante la differenza al momento tra le due squadre), ma almeno di non venire umiliati con risultato tennistico. Così, contro l’Atalanta il diktat era, quantomeno, quello di dimostrare voglia, entusiasmo, «cattiveria» agonistica. Furore, insomma un grido di risveglio.
Invece dall’appuntamento casalingo della quattordicesima giornata, esce un gemito, un rantolo: quasi un ultimo sospiro. Arriva così, in maniera netta e meritatissima, la prima sconfitta all’Olimpico della stagione, contro un’Atalanta non certo irresistibile che conclama però tutti i problemi (soprattutto di testa) di questa Roma e conferma «nonno» Reja bestia nera dei giallorossi: contro di lui non vincono da una gara da cinque anni.
Apre Gomez, che sfrutta un errore grossolano di Digne, poi nella ripresa raddoppia Denis dal dischetto dopo un’entrata killer di Maicon che rimedia un rosso e lascia la Roma in dieci. Ma tanto prima quanto dopo la squadra di Garcia non è mai stata davvero pericolosa, non ha mai dato la sensazione di poter vincere la partita nonostante il rientro di De Rossi (migliore dei suoi) e la tenacia di uno Dzeko che forse prima di venire a Roma si era fatto tutto un altro film. Sì, pesano le assenze di Salah e Gervinho sui quali l’attacco giallorosso aveva costruito le sue fortune, ma non è alibi sufficiente per giustificare quanto visto ieri pomeriggio all’Olimpico lasciato a fine gara tra i fischi dei tifosi imbufaliti.
E, mai come in questo momento, i numeri sono tutt’altro che casualità per una squadra che ha subìto 33 reti in 19 gare tra campionato e Champions, non riesce più a giocare il suo calcio e per la prima volta quest’anno esce dal «suo» stadio (ancora desolatamente «amputato» delle sue Curve) senza aver segnato nemmeno un gol: pur mantenendo, incredibilmente, il miglior attacco del campionato (il che palesa tutta la pochezza di questa serie A).
Riaffiora così un problema vecchio e già noto all’interno dello spogliatoio giallorosso: qualcosa si è inceppato e la difficoltà maggiore sta nel capire cosa. Il tecnico, che la piazza quasi all’unanimità vorrebbe vedere lontano da Roma, finisce chiaramente sulla graticola quale unico responsabile del nulla cosmico mostrato contro l’Atalanta: ma già accusato nell’indecifrabile pareggio di Bologna e soprattutto nella mattanza del Camp Nou.
Possibile però che sia tutta colpa di Garcia? Un allenatore che ha ancora dalla sua i numeri di una squadra che continua ad avere il miglior attacco del campionato ed è a un passo dagli ottavi di finale di Champions League. Se la Roma non avesse mostrato sprazzi di gran calcio, la capacità di giocare, divertire e segnare tanti gol, la faccenda sarebbe molto più semplice: sarebbe bastato cacciare il tecnico e prenderne uno più adatto a una panchina così complessa e sdrucciolevole come quella giallorossa (capire chi sarebbe tutta un’altra partita). Ma così non è e allora la società fa l’unica cosa che può fare in questo momento: chiudersi a riccio attorno al suo allenatore e cercare di ripartire. Ben sapendo che il timer del francese è già andato ben oltre il tollerabile da una piazza esigente come quella romanista avendo (almeno così sperano i tifosi) già un’alternativa pronta in caso la barca continui ad imbarcare acqua. Prima che anche la ciurma anneghi, sarebbe meglio salvare il salvabile: Torino e Bate Borisov sono due scogli contro i quali Garcia non può rischiare di incozzare.