LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Rimpalli, muri da pallavolo, un fiume di calci d’angolo, gambe che tremano, giocatori che non capiscono più da che parte andare perché lì c’è Gervinho, lì c’è Salah, lì c’è quel cristone di Dzeko, sempre triplicato, lì ci sono Digne e Florenzi che raddoppiano e poi quell’anima inafferrabile di Pjanic che non sai mai da dove rispunterà. Tutto vero e carnalmente drammatico a Marassi, anche la malinconia pericolosa di un Garcia affranto a fine gara. Fra il 20’ e il 39’ st non c’era un solo spettatore che non fosse pronto ad accettare la sconfitta doriana come inevitabile conseguenza del palese dominio giallorosso.
Ma a riprova che nel calcio conta una sola cosa, buttarla dentro, alla Roma è andato tutto alla rovescia. Non soltanto i giallorossi non hanno vinto, come forse avrebbero meritato, ma addirittura hanno perso, ha vinto la Sampdoria, strusciando la schiena sui rami della sua fortuna di giornata, sfruttando un magico contropiede sull’asse Cassano-Soriano- Eder (40’ st, clamoroso autogol di Manolas) proprio quando la nave sembrava attraccare nel porto sbagliato. La Roma, che aveva fatto il possibile per tornare se stessa, e c’era anche riuscita, è rimasta a contemplare il vuoto, dopo aver disputato la miglior mezzora del suo campionato, da squadra intensa quale allora sa essere, se vuole, come mai era sembrata finora. Era riuscita a pareggiare con Salah su magia di Pjanic (24’ st) il vantaggio doriano di Eder (punizione al 5’ st che De Sanctis non aveva l’anagrafe per intercettare). Il gol doriano era stato preceduto da un sospetto fallo di mano in area di Moisander.
Poi la Roma aveva messo il turbo (Iturbe non c’entra). I giallorossi hanno pagato un prezzo altissimo, forse più per il primo tempo buttato, costellato di azioni aggiranti eppure senza mai creare occasioni vere, a parte un tiro di Nainggolan a colpo sicuro (12’ pt). Una partita mediamente dominata che la Roma guidata da un Pjanic onnipresente, è stata capace di immolare a uno strano concetto sportivo, a un’inaccettabile generosità coincisa esattamente con la prima parte di gara. Una punizione e un gran contropiede hanno cambiato il colore delle cose, due reti messe lì come due spicchi d’aglio in una macedonia di frutta.
La Sampdoria cava il massimo, la Roma torna a casa con le tasche scucite, assediata da paure nuove. Cinica la Banda Zenga, nella sua vibrante umiltà, certa di poter contare su Eder (7 gol in campionato) ma non sul deludente Correa. Alla serata magica ha offerto un contributo decisivo anche Antonio Cassano, ispiratore del contropiede decisivo. Sfortunata ma ancora incompleta la Roma, di un’incompletezza quasi maledetta. La sua reazione è stata rabbiosa, la sconfitta immeritata, anche se alla bellezza del secondo tempo è doveroso contrapporre la scarsa concretezza del primo, dove volenterosa e spuntata la squadra di Garcia ha collezionato vagonate di calci d’angolo, ha spinto bene sulla sinistra, con Digne e Falque, ma non ha mai trovato il guizzo per mettere un uomo davanti alla porta (a parte un tiro di Nainggolan quasi a colpo sicuro al 12’). L’idea della Roma era di non dare riferimenti in attacco, Dzeko ha giocati quasi alla Totti e potrebbe essere un’idea se qualcuno fosse tanto rapido di infilarsi negli spazi, altrimenti Dzeko troppo spesso fuori dall’area è uno spreco (tanti cross sono arrivati quando lui non era in posizione). Mentre la Sampdoria ha aspettato prima, aspettato dopo, aspettato sempre. Pareva sfinita, invece ha trovato la forza d’animo di festeggiare da sola.