GASPORT (A. PUGLIESE) - Dentro Pjanic, con Iturbe spostato dalla fascia destra al centro, a fare il centravanti come era già successo altre volte. È la mossa vincente, quella che porta la Roma in paradiso (leggi Champions diretta) e che, come d’incanto, permette alla squadra di Garcia di trovare la profondità che andava cercando da inizio partita. A fare la differenza, però, è soprattutto la qualità di Pjanic: con lui in campo le ripartenze della Roma trovano logica e gli strappi di Nainggolan (giocatore box to box ) vengono premiati sulla corsa e non più in orizzontale. Senza il bosniaco, invece, la Roma aveva fatto una fatica pazzesca, tanto è vero che alla fine chiude con appena 6 tiri verso la porta, il suo minimo stagionale.
GARA A SCACCHI Garcia la partita l’aveva preparata proprio così: baricentro molto basso (46,8 metri), raddoppi in fascia per limitare il raggio d’azione di Felipe Anderson e Candreva e un 4-1-4-1 (con De Rossi davanti alla difesa ad arginare gli inserimenti di Mauri) che spesso ha visto la linea difensiva allungarsi a 5 e a tratti anche a 6, con i ripiegamenti difensivi di Florenzi (19 palle perse su 48, ma ha corso per tre) e Iturbe. L’idea di fondo era lasciare il pallino del gioco alla Lazio e provare a far male sulle ripartenze, con la corsa degli stessi Iturbe e Florenzi. Il risultato è stato un possesso palla nettamente ad appannaggio della Lazio (62,5%, con 448 passaggi contro i 269 dei giallorossi). Ma Pioli ha faticato ad andare in verticale e così – a un certo punto – ha deciso di spostare spesso e volentieri Candreva e Anderson (24 palle perse, un’enormità) insieme a sinistra per sbilanciare la difesa giallorossa, aumentare il valore delle giocate su di una fascia e liberare quella opposta per le discese di Basta. Dall’altra parte, invece, le ripartenze giallorosse sono andate spesso a vuoto, a causa di un assetto tattico troppo difensivo: Garcia ha chiuso molto bene tutti gli spazi, ma mancava qualità sugli esterni (25 palle perse in due tra Torosidis e Holebas), Keita si è sacrificato pressando alto Biglia (che infatti tocca addirittura dieci palloni meno di Parolo, 68 contro 78) per togliergli idee e l’unico capace di andare in transizione, trasformando l’azione da difensiva in offensiva, era Nainggolan. Troppo poco, tanto è vero che la Roma ha faticato a risalire, non riuscendo ad esempio ad accompagnare la manovra in un paio di strappi sulla destra di Florenzi.
I CAMBI VINCENTI Poi Keita si è arreso, è entrato Pjanic e la partita di colpo ha cambiato volto. Perché la Roma ha trovato la qualità per andare e ribaltare l’azione e per Nainggolan si è materializzata la giusta assistenza in mezzo al campo in fase di transizione. Pjanic in 22 minuti ha toccato 15 palloni, ma quasi tutti decisivi, mettendo il marchio su entrambe le reti giallorosse. Il vantaggio è emblematico: tacco del bosniaco, inserimento di Nainggolan e movimenti in verticale di Ibarbo (laterale) e Iturbe (centrale), con la sovrapposizione di Pjanic sul colombiano e la chiusura vincente dell’argentino a centro area. Non è un caso che la Roma abbia verticalizzato meno della Lazio (136 volte contro le 197 biancocelesti), come non è un caso che lo abbia fatto meglio nel finale. Perché la coppia Ibarbo-Iturbe ha dato più profondità di Iturbe-Totti, anche se poi Ibarbo ha chiuso con 10 palle perse sulle 16 giocate.