LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Il minestrone di paura e speranza verrà servito in tavola alle 12.30: «Vorrei che fosse una festa dentro e fuori, in nome di chi ama il calcio e di chi non c’è più. Però voglio battere Benitez », dichiara subito Rudi Garcia.
Fiori nei cannoni sì, amore universale pure, ma se giochiamo voglio vincere io. Concetto chiaro. In effetti non se ne può più di calcio malato, di ambienti tetri e criminogeni, di civiltà macchiate. Il settore ospiti dello Stadio Olimpico è stato aperto ai tifosi napoletani non residenti in Campania. Andranno allo stadio tutti insieme partendo dal punto di raccolta di Saxa Rubra, per qualcuno di loro sarà impossibile, avvicinandosi a Ponte Milvio, non pensare a Ciro Esposito, benché sia la terza volta che il Napoli torna all’Olimpico dopo i tragici eventi che precedettero la finale di Coppa Italia dello scorso anno. Da fuori è previsto l’arrivo di 500 tifosi (cifra da interpretare al rialzo), cui si aggiungeranno quel migliaio di napoletani residenti a Roma. La città è blindata, presidiato l’hotel dove alloggia la squadra di Benitez, quasi 2000 (come per Roma-Feyenoord) saranno gli agenti impegnati e peccato che James Bond sia andato via perché forse avrebbe potuto dare una mano.
Dietro questo gigantesco corpetto anti-proiettile, costruito per proteggere ogni cosa o persona si possa per mezza giornata associare, anche per approssimazione, al concetto di Roma, andrà in scena un evento calcistico decisamente molto più piccolo rispetto a ciò che trionfalmente si sognava mesi fa. Allora Roma e Napoli erano accomunate da un punto: non conoscevano il significato della parola delusione. Avevano un presente in cui star caldi e un futuro radioso cui abbandonarsi. Potevano addirittura puntare allo scudetto. Le cose, com’è noto, sono andate diversamente (almeno il Napoli ha ancora la Coppa Italia e l’Europa League). Più volte Garcia e Benitez, per una moltitudine di ragioni, si sono specchiati: non hanno mai visto abbastanza sorrisi, solo errori, gente che cadeva sul più bello, punti persi senza un motivo. Per questo nessuno dei due può garantire sul proprio futuro: in panchina sì, ma quale?
I numeri del 2015 sono l’antipasto indigesto del match: per quanto sia difficile da credere, negli ultimi cinque turni il Napoli è riuscito a fare meno punti della Roma (5 contro 6), benché prima della vittoria di Cesena la Roma fosse quint’ultima nella classifica del ritorno e con il secondo attacco più asfittico della serie A (7 reti con Palermo e Chievo), peggio ha fatto solo il Parma (3). E non vince in casa dal 30 novembre. Il Napoli (ritorno della semifinale di Coppa Italia con la Lazio) ci crede: «Concentrazione e maturità saranno le nostre armi per vincere, è una sfida Champions, però anche un pareggio potrebbe tornare utile», dice Benitez che ha la rosa al completo (a parte Inler squalificato). Insigne torna dopo il crociato, ma dovrebbe partire dalla panchina. Così come il lodatissimo (ieri da Garcia) Iturbe. La Roma, perseguitata dallo spettro della Lazio pronta al sorpasso, non avrà Totti e Keita. Si rivede Balzaretti e prende forma il debutto di Ibarbo dal 1’. Aprile, scriveva un tale, certo Eliot, è il mese più crudele perché mescola memoria e desiderio. Oggi, in un giorno del crudele aprile, vincerà chi desidera di più.