IL TEMPO (A. AUSTINI) - La Roma è stanca di far giurisprudenza. Pallotta lo è per il danno d’immagine continuo a un marchio che vorrebbe esportare nel mondo. Dopo i tanti casi controversi, ora il club giallorosso vedrà svuotarsi di nuovo la Curva Sud in occasione della gara con l’Atalanta del prossimo 19 aprile per una decisione senza precedenti. Il Giudice Sportivo ha infatti deciso di cavalcare l’onda di sdegno provocata dagli striscioni esposti sabato scorso durante Roma-Napoli contro la mamma di Ciro Esposito (accusata di speculare sulla morte del figlio) e ha chiuso per un turno il settore più caldo del tifo romanista. Si può discutere sull’opportunità di esporre quegli striscioni, censurarli, ma le norme dovrebbero valere sempre per tutti. E, ancora una volta, non è stato così e si è preferito applicare la classica sentenza «politica».
Letta la relazione inviata dagli ispettori federali, il giudice Tosel, sempre lui, ha disposto un provvedimento più duro rispetto ai casi analoghi nel passato, sempre sanzionati con una multa. La Roma paga per quattro striscioni esposti all’inizio e al 40’ della gara col Napoli «dal tenore provocatoriamente insultante - si legge nel dispositivo del giudice - per la madre di un sostenitore della squadra avversaria, deceduto in drammatiche circostanze». Alla squalifica concorrono i cori di discriminazione territoriale intonati dai romanisti quattro volte nel primo tempo, che da quest’anno però non bastano per squalificare una curva.
Tosel però ricorda come gli stessi cori siano stati ascoltati altre due volte in questa stagione all’Olimpico - prima e dopo la partita d’andata del San Paolo - e si appella poi all’ex articolo 13 nr. 2 del Codice di Giustizia Sportiva accusando in sostanza la società non aver svolto i controlli necessari per evitare l’esposizione di quegli striscioni e l’individuazione dei responsabili. Altrimenti sarebbe scattata l’attenuante. E qui contraddice il Viminale, che ha parlato di perquisizioni più accurate del solito e fatto notare come sia impossibile prevenire certe scritte divise in pezzi di carta poi incollati all’interno. C’è di più: questo genere di controlli fuori dallo stadio spettano agli agenti di polizia e non agli steward. Una sentenza «attaccabile», insomma. I legali del club giallorosso hanno richiesto gli atti e stanno valutando l’ipotesi di presentare un ricorso (a cui allegare i tanti precedenti) alla Corte Sportiva.
C’è una settimana di tempo e sarà Pallotta a decidere. Il presidente è letteralmente infuriato con gli ultrà. Non capisce il loro linguaggio, non accetta di vedere in tv sulla Cnn servizi sulla vicenda. Il suo intervento di ieri alla radio ufficiale del club è molto più duro del comunicato pasquale. «Siamo frustrati e delusi - dice Pallotta - non è giusto per tutti i nostri tifosi essere infangati da pochi fottuti idioti che frequentano la Curva Sud, e sono sicuro che la stragrande maggioranza dei romanisti siano stufi di questi stupidi. Sta a noi tutti, insieme, non solo a Roma ma in Italia, porre fine alle loro buffonate. Ma non abbiamo veramente il potere nello stadio per fermarli. Stiamo facendo tante cose buone con la fondazione "Roma Cares", a cui sto per donare un milione di dollari, contro il bullismo, la violenza e il razzismo per continuare a combattere queste stronzate». Ora dovrà valutare se sia giusto ricorrere per salvare la maggioranza di innocenti. Intanto, con l’ausilio del diggì Baldissoni, ieri sera ha telefonato alla mamma di Ciro. «Si è scusato per quello che è successo e si detto indignato - racconta la signora Leardi - siamo d'accordo che ci rivedremo per mettere a punto progetti comuni al fianco dell'associazione "Ciro vive"». Un primo segnale di pace, aspettando la prossima reazione della Curva.