Sacchi: "Roma ha un problema serio di ambiente. Florenzi è un campione, fossi in lui lascerei i giallorossi"

27/03/2015 alle 13:27.
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SETTE (V. ZINCONE) - Quando gli chiedo quale sia l'azione simbolo del suo calcio non descrive quella che portò al secondo gol milanista di Ruud Gullit nella finale vittoriosa di Coppa dei Campioni del 1989. E nemmeno una delle tante sgroppate fulminee dei suoi azzurri durante l'Europeo del 1996. Ci pensa qualche secondo e poi, muovendo le dita sul tavolo, disegna la ripartenza mozzafiato che sancì una vittoria del suo Parma contro il Campobasso, in una partita di serie B di metà anni Ottanta. Arrigo Sacchi, maestro di geometrie calcistiche, ha in testa praticamente ogni movimento di ogni suo giocatore da quando cominciò ad allenare per hobby il Pusignano. Dopo quarant'anni sulle panchine e un'ultima esperienza come coordinatore dei coach delle Nazionali giovanili, Sacchi oggi commenta il calcio in W e sulla Gazzetta. Ha appena dato alle stampe un'autobiografia (Calcio totale) che è un tributo alle sue molte squadre, ai tanti trofei conquistati in rossonero, ma soprattutto al gioco del calcio. Il suo calcio: sacrificio e intelligenza. Ansia e stress. Ia materia grigia prima della massa muscolare. L'armonia collettiva come humus per coltivare il guizzo individuale. La cura appassionata di ogni minuscolo particolare. Il calcio come magnifica ossessione. Dice: «Solo l'ossessione ti permette di fare cose che gli altri non fanno». L'uomo prima del molo. Il gioco prima del risultato. Si sfoga «I tifosi italiani spesso non sanno distinguere ciò che vale da ciò che non vale. C'è troppa ignoranza. Se chiedi loro che cosa sia il calcio, non sanno rispondere». Che cosa è il calcio? «In Italia non è uno sport, perché lo sport ha delle regole e noi tendiamo a ignorarle. Abbiamo uno scandalo all'anno. Non è uno spettacolo, perché del merito e della bellezza non interessa a nessuno. E allora sa che cos'è in Italia il calcio? E rivendicazione sociale». E anche polemiche estenuanti. L'ultima che ha coinvolto Sacchi riguarda il suo presunto razzismo. Chiedo: «E vero che ha detto che in Italia ci sono troppi giocatori neri?». Replica: «Un giornalista mascalzone senza dignità ha voluto travisare una mia considerazione sul commercio vigliacco di giovani africani. Mi riferivo alla pratica diffusa in alcuni club di comprare gruppi di ragazzini senza averli visionati. Li portano in Italia e poi li abbandonano al loro destino, gonfi di sogni irrealizzabili. E un'operazione che probabilmente nasconde anche qualche illecito finanziario» . Aggiunge: «Il calcio italiano è al culmine dell'ignoranza e della disonestà - dice Sacchi ai microfoni del settimanale allegato al Corriere della Sera -. Abbiamo aperto le frontiere in modo sfacciato. Andiamo avanti con la logica per cui, se una squadra non segna, si va a caccia di un attaccante in giro per il mondo invece di concentrarsi sul gioco. L'ho detto anche a Berlusconi se vuoi evitare di buttare milioni di euro... parti dal gioco». Partiamo dal gioco, allora. In serie A, oggi, c'è qualcuno che cura davvero il gioco? «Li chiamo gli ottimisti. Quelli intelligenti capaci di rischiare». Chi sono? «Eusebio Di Francesco che guida il Sassuolo, Sinisa Mihajlovic della Samp, lo stesso Roberto Mancini che sta crescendo con la sua Inter. Stefano Pioli che allena la Lazio e si è motto evoluto. E poi c'è Maurizio Sarri...». L'allenatore dell'Empoli. Lo elogia spesso. «li ha a disposizione solo un paio di giocatori veramente da serie A, ma ha allestito la squadra più armoniosa e con più conoscenza del campionato». Zdenek Zeman le piace? «E' un vero direttore d'orchestra. Ma nel Paese degli impazienti in cui conta solo il risultato è stato ridimensionato. Nel 1994 consigliai io a Sergio cragnotti di prenderlo alla Lazio. Mi rispose che non aveva speso miliardi in giocatori per farli allenare da uno come Zeman. La settimana dopo il Foggia del Boemo massacrò i biancazzurri e Cragnotti si convinse». Massimiliano Allegri, la ... «Nel Dna dei bianconeri c'è la cultura della vittoria. E per questo bisogna complimentarsi con Andrea Agnelli che porta avanti la tradizione: la ha una determinazione feroce. Allegri è un ottimo gestore, spero che diventi un maestro». , la Roma... «Roma ha un problema serissimo di ambiente esterno e interno alla società. A Roma si gioca sull'entusiasmo. Ma a livello di non possesso palla, per esempio, c'è molta approssimazione». I migliori "Mister" d'Europa... «José Mourinho del Chelsea, che è un super motivatore. Carlo , del Real Madrid, che sa adattare i giocatori alle situazioni più complesse, e Pep Guardiola..». ...coach del Bayem Monaco. «II migliore sulla didattica. Il suo 2008/2012, il mio Milan negli anni Ottanta e l'Ajax di Johan Cruijff nei 60/70 sono le tre squadre che hanno aiutato il calcio a evolversi».

Oggi su quale asse centrale di giocatori costruirebbe una squadra? «Potendo scegliere in tutto il mondo? In porta metterei Manuel Neuer. Prototipo del giocatore perfetto». Il centrale difensivo? «Mi convincono in pochi. Posso rispolverare Franco Baresi?». No. «Allora Sergio Ramos, del Real Madrid. A centrocampo Andrea Pirlo e in attacco . In linea di massima a me piacciono i professionisti intelligenti, generosi, che si mettono a disposizione e che sono capaci di cambiare il loro gioco per la squadra». Nel libro Calcio totale lei racconta di aver lottato per allontanare dalle sue squadre i giocatori senza queste caratteristiche. «Dovetti insistere settimane per evitare che Berlusconi confermasse l’argentino Claudio Borghi al Milan. E appena arrivato dissi al Cavaliere che non volevo il difensore Dario Bonetti. Perché si allenava male e usciva tutte le notti». Maradona faceva bagordi. Se glielo avessero proposto avrebbe rinunciato anche a lui? «Maradona è stato il più grande. Era una spada di Damocle incontenibile. È l’eccezione che conferma la regola: lo avrei preso e forse avrei sbagliato. Ma non avrei scambiato Gullit e van Basten per Maradona». Lei è stato molti anni alla corte di Berlusconi. «Berlusconi pensa che il calcio sia uno spettacolo multiplo di solisti. Io che sia uno sport di squadra con armonia. Ma il Cavaliere è sempre stato democratico con me e ha sostenuto le mie scelte». È vero che le ha proposto più volte di tornare al Milan? «Preferirei non parlarne». Berlusconi è stato il suo presidente trionfante. Ma è anche stato un presidente del Consiglio caduto nel fango delle inchieste giudiziarie. «L’unica cosa che gli rimprovero è di non essersi dimesso quando ha capito, già nel 1994, che non gli avrebbero consentito di governare come voleva. Ne sarebbe uscito immacolato. D’altronde i suoi oppositori dei Ds e del Pd lo hanno inseguito per venti anni. Lo volevano abbattere giocando di rimessa. Ed è stato il loro limite». La politica vista da una panchina di calcio. «Invece di inseguire, ora Renzi sta imponendo il suo gioco, come ha fatto Berlusconi per vent’ anni». Il premier le piace? «Sì, anche se sull’elezione del presidente Mattarella è stato un birbante». Birbanti. è il ct della Nazionale, ma è indagato per frode sportiva. «Io non sono moralista. E è il più bravo di tutti». Gli dia qualche consiglio. Qualche azzurro... «Nelle squadre ai vertici della serie A gli italiani sono pochissimi. Giustamente lui sta lavorando sui nuovi». Lei su chi punterebbe? «Su Danilo Cataldi della Lazio, su Manolo Gabbiadini, ora al . Su Lorenzo Insigne, anche lui al . Ma per lui sarebbe meglio andarsene dalla città natale. E per Alessandro , che è un campione, sarebbe meglio lasciare Roma». Ha sentito la telefonata di Claudio Lotito? Quella in cui auspicava che alcune squadre minori non arrivassero in A... «Il calcio è fatto di speranza. Se togli a una piccola squadra la speranza di essere promossa, è finita. Lotito è un ottimo dirigente. Se parlasse poco sarebbe perfetto». Lei ha allenato per molti anni il Parma e ne è stato direttore sportivo. Ora il Parma è fallito. «Parma è la città più civile d’Italia. Ma chi ha gestito la squadra negli ultimi anni ha messo da parte il calcio e ha cominciato a trattare i giocatori come merce. Centottanta ragazzi tesserati. E questi sono i risultati». A cena col nemico? «Non ho mai considerato nessuno nemico. Con Gianni Brera, che è stato un mio detrattore, avrei cenato volentieri». Che cosa le rimproverava Brera? «Non mi capiva. Una volta, prima di una fnale di League contro lo Steaua di Bucarest, scrisse che i romeni erano i maestri del calcio ballato e quindi il mio Milan si sarebbe dovuto chiudere in difesa. Cioè il contrario di quello che avevamo fatto per anni. Lessi l’articolo ai giocatori e chiesi loro se erano d’accordo. Gullit rispose: “Li attacchiamo dal primo secondo”. E tutti furono d’accordo». Finì 4 a 0 per il Milan. Qual è la scelta che le ha cambiato la vita? «Lasciare l’impresa calzaturiera di mio padre e decidere di fare l’allenatore professionista, nel 1979, col Cesena». L’errore più grande che ha fatto? «Ne ho fatti tanti, ma anche se li ho fatti... Sono partito da un campetto polveroso di provincia e nel ’94 sono arrivato a una finale di un Mondiale. Non mi posso lamentare».