IL TEMPO (A. AUSTINI) - «Adesso ci aspettano dieci finali». Da domenica lo hanno iniziato dire in coro più o meno tutti gli allenatori della serie A, carenti in fantasia ma obbligati a motivare le rispettive squadre. Perché i giochi si decidono in volata. Detto che il quarto scudetto consecutivo juventino è solo questione di tempo, la sfida per accaparrarsi i due posti in Champions (e i tre in Europa League) è apertissima. E vede la Capitale partire in prima fila.
È dalla stagione 2007/08 che Roma e Lazio non entrano a braccetto nella prestigiosa competizione europea: i giallorossi allenati da Luciano Spalletti e i biancocelesti da Delio Rossi con il supporto di Walter Sabatini, proprio lui, nel ruolo di diesse. Da allora la Champions è rimasto un tabù per il club di Lotito, mentre la Roma ha continuato a frequentarla per un po’ e l’ha ritrovata in questa stagione dopo tre anni di assenza totale dalle coppe.
Mai come adesso c’è la possibilità di un en-plein romano, reso possibile dall’incredibile ascesa della banda di Pioli. Sei vittorie di fila e un gioco sempre più spettacolare e concreto hanno portato la Lazio sul terzo gradino del podio, a un solo punto dalla Roma partita con ben altre prospettive. Il sorpasso si è materializzato per una mezzora abbondante domenica scorsa e solo il gol di De Rossi a Cesena ha ristabilito le gerarchie. Per adesso.
«Noi pensiamo solo a noi stessi» ha assicurato il tecnico biancoceleste che non può dire tutta la verità. Può davvero la sua Lazio, col budget ridotto e una rosa non certo extralarge, arrivare davanti alla squadra di Garcia? I motivi per rispondere «sì» a Formello non mancano. Il primo si chiama Felipe Anderson, al momento il giocatore più decisivo del campionato insieme a Tevez. Ma è il collettivo, come sempre, a fare la differenza. Vedi il Napoli: ha un bomber come Higuain eppure si ritrova addirittura al quinto posto. Juve a parte, nessuno negli ultimi mesi ha giocato con l’entusiasmo e gli automatismi della Lazio. Ma siccome nel calcio quello che vale oggi non è più vero domani, bisogna anche valutare che la sosta arriva proprio sul più bello e rischia di spezzare l’incantesimo laziale. E poi un conto è rincorrere, un altro è difendere una posizione acquisita.
La rosa non larghissima potrebbe anche bastare considerato che da qui alla fine campionato l’unico «intralcio» per Pioli è la semifinale di ritorno di Coppa Italia a Napoli. Un «bonus» accumulato in corsa anche da Garcia, che ha appena salutato l’Europa League dopo la Champions e la Coppa Italia. Ora il francese avrà più tempo per preparare le partite, ha appena recuperato Ibarbo, aspetta i progressi di Doumbia e il ritorno di Maicon. La vittoria di Cesena è servita ad abbassare la pressione di un ambiente tornato insopportabile. Parlando ieri con il collega appena battuto a margine dell’incontro tra le varie componenti del calcio all’Hilton, Rudi si è mostrato combattivo: «Sapevo prima di arrivare - ha spiegato a Di Carlo - che questa piazza è difficile, l’ho verificato di persona e non mi sono esaltato neppure nei momenti positivi». Il tecnico del Cesena gli ha fatto i complimenti e lo ha invitato resistere e Garcia ha risposto convinto: «No, sicuro: io non mollo».
Alla ripresa subito un test-verità con il Napoli: vincerlo vorrebbe dire eliminare un avversario dalla corsa al secondo posto, perderlo potrebbe comportare il sorpasso della Lazio impegnata a Cagliari. Un teorico vantaggio sarebbe quello di giocare le ultime tre all’Olimpico, una delle quali proprio contro gli uomini di Pioli. Ma la Roma nel suo stadio non vince dal 30 novembre. E i problemi di classifica, in fondo, se li è creati proprio dentro casa.