LEGGO (F. MACCHERONI) - «Pertini era una forza. Incredibile. Vederlo prima di una partita, oppure sugli spalti, sentire quello che ci diceva... Il nostro era un grande gruppo, ma la cosa straordinaria era l’umiltà e quella è stata esaltata da Pertini, la sua umiltà c’è entrata dentro e poi è esplosa in campo». Bruno Conti domani compie sessant’anni. In mezzo a questa vita c’è un mitracolo sportivo: due anni incredibili, 1982 e 1983. Un Mondiale, quello di Bearzot, Pertini e un pugno di fenomeni, poi d’un fiato lo scudetto con la Roma.
Nella sua Roma, c’erano due di casa, lei e Di Bartolomei. Se ne parlava tanto, praticamente come si fa oggi per Totti e De Rossi. Che differenza vede?
«Ago, che grande! Non vedo differenze. Le emozioni e le attese sono uguali. Si cresce dentro la maglia, si sogna di indossarla, e poi si sente la gente, gente come te, sei uno di casa e ti esalti per forza. Credo che De Rossi e Totti abbiano fatto tanto e che i tifosi li amino come è accaduto per noi. Forse sono cambiati i tempi e il rapporto è meno diretto».
Cioè?
«Noi finivamo la partita e avevamo i giornalisti nello spogliatoio, i tifosi avevano maggiori possibilità di avvicinarci. Si parlava senza troppi filtri, ma l’affetto mi sembra lo stesso. Anche a Verona, domenica scorsa, ho visto tanti tifosi, gente che fa gli stessi sacrifici di chi seguiva noi. I tifosi romanisti non cambiano mai».
Trovare in panchina Liedholm è una bella fortuna.
«Mi ha riportato a Roma dopo la parentesi a Genova, lo ha voluto fortemente. Uomo stupendo. Era capace di prenderti per il collo se qualcosa non gli andava, ma poi nello spogliatoio finiva tutto in fretta. Sdrammatizzava ogni situazione e ci faceva crescere. Gli devo tutto».
Maradona la voleva al Napoli vero?
«Quando ci scambiavamo i gagliardetti mi diceva all’orecchio "vieni a Napoli che vinciamo tutto". Siamo sempre rimasti in buoni rapporti. Quando ho allenato la Roma, ero in conferenza stampa e venne con Bagni a farmi una sorpresa. Io dissi ai giornalisti ”ora vi presento il nuovo acquisto”. Magari averne uno così».
Com’è la vita in famiglia di un campione del mondo?
«Bella, ma il calcio qualcosa porta via. A far crescere i miei figli è stata mia moglie».
Daniele, bandiera del Cagliari, e Andrea ora in Svizzera dopo un giro d’Italia. Li avrebbe voluti giallorossi a vita.
«Il loro sogno era il mio, sono cresciuti nella Roma, poi si sa, subentrano tanti fattori».
Un consiglio a chi comincia?
«Divertirsi. Io pensavo soltanto a divertirmi. Mi chiamavano, prendevo la roba e andavo. Una volta ero contemporaneamente in tre finali di tornei da bar, dovetti sceglierne una».
È cresciuto a Nettuno, dove regna il baseball, ne ha parlato con Pallotta?
«Certo, all’inzio molto, ora è diventato competente anche di calcio. E soprattutto ha fatto molti sforzi per mettermi in condizione di lavorare bene per far crescere il settore giovanile».
Dovesse scegliere un giocatore per una partitella?
«Totti. E ne ho visti... Ho giocato con campioni straordinari come Falcao e Cerezo, Ancelotti, ma Totti...»
Sessant’anni meritano una buona bottiglia, con chi la stapperà?
«In famiglia, purtroppo i figli e nipoti sono lontani, ma c’è mia moglie che basta».