Cinema e caciotte. La Roma di Ferrero è un film comico

16/03/2015 alle 09:31.
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GASPORT (A. CATAPANO) - Sulla fede romanista non si discute. Di tutta la fa­ miglia Ferrero. Dalla fi­glia più grande, Vanessa, che pure ha voluto infilare nel Cda della Samp, all’ultimo nato, che ha chiamato Rocco Con­tento («Perché la felicità è un attimo, ma la contentezza du­ra sempre»). Tanto bastereb­be, e invece sappiate che al­ l’andata, dopo un gol annulla­to alla Sampdoria, un’altra delle figlie, seduta accanto a lui, si esibì in un indimentica­bile gesto dell’ombrello rivol­to ai sampdoriani in tribuna.

RACCONTI ROMANI - Ricca è l’aneddotica sul Massimo Fer­rero romano, a cominciare dai soprannomi: Er viperetta, co­niato a Cinecittà, ma anche Er caciottaro, per via dell’azienda della ex moglie, la Buonatavo­ la Sini, che esporta formaggi tipici in tutto il mondo (e gra­zie alle quale, dicono i mali­gni, lui ha fatto i soldi). Testac­cino, figlio di un tramviere (papà guidava il 95) e di una venditrice ambulante al­ l’Esquilino, Ferrero racconta (perciò prendetelo col benefi­cio del dubbio) che il suo pas­satempo preferito da ragazzo fosse fare il bagno in una delle fontane di piazza Navona, mentre le prime lire che si mi­ se in tasca le fregò alla povera nonna. Sempre stando ai suoi racconti, la prima volta che si ritrovò negli studi di Cinecittà fu perché lo aveva dimentica­to lì il nonno e arcinoto, or­mai, è il modo con cui trovò il primo lavoretto. «Ciao, so’ Massimo Ferrero, me dai ‘n la­ voro? Non so fa un ca...».

SALE E DENUNCE - Non avrebbe bisogno di un imitatore, tanto è la caricatura di se stesso, ma Crozza­Ferrero è esilarante fin dal suo incipit: «Forza Do­ria, forza lupi, so’ sepolto da li mutui». Nessuno è riuscito a capire bene se e quali fortune abbia accumulato, come ab­bia comprato il circuito di sale cinematografiche che fu di Cecchi Gori, undici solo a Ro­ma. E invece, conoscendo il li­ vello della nostra Serie A, tutti hanno compreso perché nes­ suno abbia avuto da ridire di un presidente in gioventù condannato per abuso edili­zio e più recentemente per una bancarotta da 40 milioni di euro e 500 dipendenti a spasso. Al sindaco Ignazio Marino, che gli contesta la proprietà della sala Troisi a Trastevere, l’altro giorno ha detto: «A Mari’, se insisti te de­nuncio». Paura.