IL MATTINO (G. COVELLA) - «Voglio fare, ancora una volta, un appello ai giudici: Ciro Esposito poteva essere il figlio di chiunque. Quando lui avràgiustizia ogni italiano l'avrà». Antonella Leardi appare, come sempre, pacata e garbata nei toni. Domani saranno nove mesi da quando suo figlio è morto, dopo 53 giorni di agonia trascorsi nel reparto di rianimazione del «Gemelli» a Roma. Ora il suo dramma è anche in un libro: «Ciro Vive». È il libro edito da Graus Editore che sarà in libreria a fine marzo, con una intervista inedita della giornalista Rai, Vittoriana Abate. La storia di Ciro Esposito un ragazzo perbene, le testimonianze della fidanzata, amici e parenti e poi quei 53 giorni di agonia trascorsi al Policlinico Gemelli di Roma. Antonella non ha dubbi e ribadisce a chiare lettere: «E stato un agguato, non una rissa tra tifosi».
Come ha reagito quando ha saputo della chiusura dell'inchiesta?
«Finchè le indagini saranno condotte con cura e rettitudine, io continuerò ad avere fiducia nella giustizia e in coloro che devono farla rispettare».
Però Tommaso Politi, l'avvocato difensore di Daniele De Santis, l'ultrà romanista che ha sparato a suo figlio, continua ad affermare che il suo cliente fu "oggetto di una brutale aggressione", riferendosi alle coltellate che gli sarebbero state inferte...
«Il suo avvocato può dire ciò che vuole. Fa il suo lavoro. Noi dobbiamo attenerci alle testimonianze. Tutti hanno visto che mio figlio si avvicinò all'autobus dove c'erano donne e bambini per difenderli da De Santis».
Come fa a dirlo?
«Sono cose che mi ha detto Ciro quando era in ospedale. Quando iniziò a ricordare ed era ancora lucido scuoteva il capo, dicendo "i bambini piangevano e urlavano. Non si può essere sparati per una partita di calcio. Non si può...". Inoltre, quando seppe degli altri due feriti, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, commentò con ironia: "Mo' quello uccideva a tre scemi", riferendosi a De Santis».
Cosa aveva Ciro nello zainetto quel giorno?
«Le uniche "armi" che aveva con sè erano tre casatielli e due frittate di maccheroni che quella mattina suo padre gli aveva preparato per non far stancare sempre me. Quando gli amici lo hanno trascinato a terra dopo il ferimento, lui lo indossava ancora. Un testimone ha raccontato che, quando Ciro vide lanciare le bombe contro quel bus, lanciò in aria un pezzo di casatiello che stava mangiando e andò in soccorso di quelle persone. Altro che coltelli...».
Com'è cambiata la sua vita?
«Totalmente. Io e mio marito Giovanni, che abbiamo fondato l'Associazione Ciro Vive, ci siamo dati da fare per portare ovunque un messaggio di pace. Come mamma colpita da questa tragedia non ho mai voluto vendette. Lo sport non è guerra. Quello che è accaduto non c'entra con il calcio. Era un agguato premeditato e meschino».
Di cosa si occupa l'Associazione?
«Aiuta i bambini disagiati e le loro famiglie. Tutte le iniziative che facciamo sono rivolte a raccogliere fondi per i bimbi di Napoli e provincia. Abbiamo scelto i bambini perché Ciro li amava molto e ne avrebbe voluti tre. Partiamo da loro, perché sono il futuro e vogliamo evitare che diventino degli assassini e dei violenti».
Il libro che lei ha scritto cosa racconta? «
La vita di un ragazzo normale, gran lavoratore, che amava la famiglia, difendeva i deboli e aveva tante passioni».
Perché proprio "Ciro Vive"?
«Perché il suo esempio, anche se lui non c'è più su questa terra, vivrà sempre nei cuori di chi lo ama, nel bene e nella giustizia»