IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Tutta colpa sua. Sia chiaro: colpa è solo un’estremizzazione dialettica per dire che Gervinho ha mollato la Roma e la Roma ha smesso di vincere. Non che con l’ivoriano i giallorossi abbiano sempre preso i tre punti (vedi la sfida con il Milan prima di Natale), ma il dato certo è che senza di lui la Roma ci sia riuscita una sola volta, a Udine (1-0 gol di Astori), e pure con molta fatica. Lo scorso anno si è fatto male contro il Napoli e i giallorossi, che comunque giocavano al calcio in maniera del tutto diversa da quest’anno, hanno stentato (vincendo in extremis con Chievo e Udinese e pareggiando con Sassuolo e Cagliari) e quest’anno idem, per certi versi anche peggio. La sua assenza ha fatto davvero male. Zero vittorie con Lazio, Palermo, con Fiorentina e Empoli (più la coppa Italia, finita in pari dopo novanta minuti e vinta solo dopo i supplementari). Questi sono dati, per qualcuno possono essere casuali, per altri no, comunque sono numeri che fanno riflettere. Perché un solo giocatore non può mai essere una squadra anche se il refrain - «palla a Gervinho e s’abbracciamo» - rimbalza ormai dalla passata stagione. Quest’anno è tutto molto più accentuato perché la Roma non gioca più a pallone, non è veloce e non crea occasioni da gol e quella famosa palla all’ivoriano avrebbe fatto comodo, se non altro per acchiappare qualche punto in più. La bellezza del gioco complessivo non può essere certo messa nei piedi di un solo calciatore. Ma se il risultato è legato soprattutto alle sue giocate, c’è qualcosa che non quadra.
SCATTI D’AUTORE - Gervinho non è un fenomeno, non è nemmeno uno bello da vedere, non ti incanta per i movimenti del corpo, per il tocco di palla. E’ uno che dalla Premier è dovuto scappare per gli insulti dei tifosi dei Gunners e l’indifferenza di Wenger. Qui ha trovato l’Eldorado: è improvvisamente diventato bello, aggraziato, il suo tocco di palla appare come una pennellata. E’ così, l’altro Gervinho ha stregato tutti. Palla a lui e ci abbracciamo, appunto. Ora non ci abbracciamo più, tutti non vedono l’ora che torni, specie Garcia. Uno come lui, nel nostro campionato, fa la differenza solo per la sua velocità. Va il doppio degli altri, sa dare ritmo, imprevedibilità e qualche gol (dopo parecchi tentativi a dire il vero). Non ha bisogno di una squadra che vada a duemila, gli basta una palla in profondità e lui colpisce. Quindi, anche in questo momento in cui la Roma va a due all’ora, Gervinho poteva essere determinante. E magari la squadra non avrebbe vinto tutte e cinque le partite, ma solo con un paio di vittorie in più, la classifica avrebbe un altro senso. La Roma non va e da un po’ di tempo. Ci si è chiesti il perché. L’assenza di Gervinho è un problema e quello va bene, ma il resto? Si era detto che la Champions League ha influito. Giusto. La doppia competizione fa perdere punti, distoglie la concentrazione dal campionato e la canalizza in Europa. Giustissimo. Ma la Roma si è fermata quando la Champions League ha smesso di esistere. Dopo la gara con il City è andata sempre peggio. I giallorossi hanno vinto solo contro il Genoa e con l’Udinese. Tra poco si riprende con l’impegno infrasettimanale: arrivano i rinforzi e qualche giocatore sarà recuperato. Magari lo sforzo supplementare del giovedì ridarà energia a una squadra che per ora sembra persa. Nulla è compromesso, ma questa serie di pareggi ha maledettamente complicato tutto.