Donadoni, il comandante che non fugge dalla nave

13/02/2015 alle 09:38.
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CORSERA (A. PASINI) - Roberto Donadoni è un comandante che non fa inchini e tantomeno abbandona la nave, neanche quando si è ridotta a una zattera. Su quella chiamata Parma, da italiano atipico, finora sta restando in piedi molto vertical e se gli si domanda chi glielo fa fare ripete a tutti il mantra della persona seria: «Ho preso un impegno e lo rispetterò finché me lo permetteranno ». L’allenatore del club più disastrato d’Italia è un’eccezione di questa epoca, ma non lo si scopre oggi. Un anno fa, in tempi non sospetti, quando il Parma sognava addirittura l’Europa, lui attaccava il calcio italiano con questa tesi critica e autocritica difficile da contestare: «Vedo scarsa professionalità in campo e fuori, poca cultura sportiva, belle prediche ma pochi fatti. Che cosa facciamo davvero tutti, me compreso, per cambiare le cose?». Niente, si direbbe, visto ciò che sta accadendo dalle sue parti.

Finora in questa stagione, dopo Tommaso Ghirardi, l’ex c.t. ha dovuto vedere già quattro presidenti, manco il Tardini fosse il Monte Rushmore: Pietro Doca (per un giorno, come in un film), Fabio Giordano, Ermir Kodra e, adesso, Giampiero Manenti, che mercoledì ha assicurato che pagherà Irpef, stipendi, tutto. «Fidatevi di me», ha detto. E Donadoni, che non ama giudicare la gente prima di conoscerla, ha preso atto: «Se le cose non andranno come ci hanno detto, allora si potrà parlare. Ma adesso no». Aziendalista? Difficile, se non sai neanche chi è l’azienda. Piuttosto, uno stufo di questa storia. Perciò pensa solo a lavora per una salvezza quasi impossibile con una squadra ormai smembrata e, soprattutto, chiede silenzio, virtù sempre troppo sottovalutata. «Perché nessuno sta zitto un po’? Dov’erano prima tutti?», domanda da giorni. È amareggiato per la mancanza di chiarezza che, da quando è scoppiata la crisi del club, ha peggiorato tutto: «Bastava dire subito come stavano le cose», confida agli amici. E trova così l’amara conferma a una convinzione che ha da tempo: «È una crisi di sistema ».

Lo stesso ha detto senza perifrasi il suo capitano, Alessandro Lucarelli: «È da giugno che siamo soli. Tavecchio dov’era in tutto questo? La Lega si è mossa in ritardo, forse tutto questo si poteva evitare». E ieri Massimo Gobbi ha chiarito che, se gli stipendi non arriveranno entro lunedì, i giocatori adiranno le vie legali, mettendo in mora la società. In un simile disastro, il comandante Donadoni di una sola cosa è certo: come tutti, pure questo viaggio prima o poi finirà. E a quel punto, forse, tornerà una tentazione che ci confessava di avere un anno fa: «L’estero? Certo che ci andrei. Se tutti i miei colleghi che ci sono andati non tornano indietro, ci sarà un motivo...».