GASPORT (F. ODDI) - L'allenatore che proverà a fermare la Roma nella prima gara dopo le feste era entrato a Trigoria con la Yaris, la pancetta e la tuta, ed è uscito con l'Audi, giacca scura, camicia chiara e fisico asciutto, e sul navigatore Via Camillo Sbarbaro 5, Milano, in una parola Interello. Tra tuta e abito scuro, un cappellino con visiera, fondamentale come tutte le scaramanzie di Andrea Stramaccioni: nel 2007 doveva andare a giocare un torneo a Pescara, e quando si accorse di averlo dimenticato a Roma costrinse la fidanzata di allora a farsi 250 chilometri per portaglielo. Funzionò: quel torneo lo vinse, dopo una soffertissima semifinale col Napoli ai rigori che vide seduto sul pallone, da solo, in disparte. Non gli riuscì la missione successiva, convincere la dirigenza a comprargli il più forte della squadra battuta in finale, il Pescara di Marco Verratti. Tre mesi dopo, vinse pure lo scudetto Giovanissimi, facendo alzare dalla panchina Federico Viviani, fuori per scelta tecnica. Le possibilità che scendesse in campo in quella gara erano talmente basse che il padre neppure andò a vederla, scoprendo al telefono che il figlio era entrato, con la Sampdoria avanti di un gol, aveva portato la partita ai supplementari procurandosi il rigore dell'11, e poi non li aveva giocati, perché «aveva fatto benissimo quello che gli avevo chiesto, ma a quel punto mi serviva un altro tipo di giocatore». L'attuale regista dell'Under 21, quando gli venne detto «bravissimo, ma ora entra un altro» aveva una faccia quantomeno stralunata.
FACCIA DA C... «”Mister, lo sai che c'hai veramente una faccia da c...? Da fuori risulti molto meno simpatico di come sei”. Ci rimase, mi disse che nessuno era mai stato così sincero con lui. Eravamo in macchina, andavamo a un'amichevole: era un mese che lavoravamo insieme, ma il nostro rapporto possiamo dire che nacque lì». Il rapporto in questione è quello tra Stramaccioni e Massimiliano Catini, capo e vice per 6 anni alla Roma. Interrotto, con tanti auguri, nel febbraio del 2011, quando Montella andò in prima squadra e a Catini fu chiesto di prendere i suoi Giovanissimi, e ripreso all'Inter. «Quando gli affidarono la Primavera, non me la sentii di lasciare Roma, stava per nascere mia figlia. E mi trovò un ruolo da osservatore. Quando vinse la Next Gen, poche ore prima che Moratti lo promuovesse, mi chiamò: “Domani alle 11 a Milano”. Dovevamo presentarci a uno spogliatoio con gente come Maicon, Cambiasso, Sneijder, eravamo tutti un po' tesi. Lui fa “Andiamo”, ma non riesce ad aprire la porta, spinge, rischia di buttarla giù, poi si accorge che era a scrigno, bastava farla scorrere. Quando siamo entrati, i giocatori sorridevano invece di sghignazzare: un segno di rispetto, di fronte a una scenetta come quella».
CENE E CALCETTO Ora Catini allena gli Allievi Elite della Romulea, proprio la società che lanciò Stramaccioni, fino a quel momento nota per i primi passi dei vari Baldieri, Liverani, Moscardelli, De Silvestri e Verre. Una proposta accettata a metà della scorsa stagione, il capo era fermo, il vice si era stufato di aspettare. «Molti pensano che lavoro ancora con lui, invece sono rimasto qui, per ora. Con Strama, ci vedevamo anche fuori dal campo, cene, vacanze insieme, partite di calcetto. Giocavamo all'Airone, Roma Sud, vicino casa sua, sotto un acquedotto romano, o all'Olimpia, a Villa Doria Pamphili. C'era quello che pesava 100 chili, quello che non sapeva neanche cosa fosse il pallone, il mister rompeva pure lì. Ogni tanto gli strillavo: “Sarò pure il tuo vice, ma la partita l’ho organizzata io, almeno qui stai zitto un attimo”. Era il più forte, una tecnica spaventosa, dopo un po’ gli si riacutizzava il dolore al ginocchio che gli aveva impedito di fare il calciatore e andava in porta. Ed era difficile anche fargli gol. Poi mio cugino Alessandro Tersigni, che giocava a calcetto con noi, l’hanno preso al Grande Fratello 7, e tutti i giovedì cena a buffet a casa di qualcuno, a vederlo». Ma il piatto forte rimaneva il calcio. «Parlavamo per ore, ci allenavamo per ore. A Trigoria, entravamo col sole e uscivamo con la luna, ogni tanto qualcuno da fuori ci urlava "Golden gol”, come a dire fate questo e andatevene. Bei tempi a Trigoria, con Totti, per cui Strama, romanista da sempre, aveva una sorta di venerazione, e Montella, forse la persona più bella che ho incontrato nel calcio».
LIBRI E PLAYSTATION La leggenda racconta di cene mensili con i giovani allenatori del calcio dilettantistico romano, interminabili discussioni a tavola, lunghe quanto le telefonate di Strama con colleghi e osservatori. «Non so quanti amici avesse in giro per l'Italia, tanti. Aveva relazioni dettagliatissime su ogni partita e su ogni giocatore, che movimenti facesse, dopo quanti passi calciasse: anche se giocavamo contro il Borgorosso motivava i ragazzi come se dovessero affrontare Cristiano Ronaldo, e poi facilitava loro il compito con dettagli che non riuscivamo neppure noi a capire come conoscesse. Ma lui è competitivo in tutto, persino coi videogiochi. Era snervante: a quelli di calcio ci metteva talmente tanto a cambiare la formazione che mi stufavo ancor prima di iniziare. Però era imbattibile. In trasferta, libri e playstation: si è laureato in legge, studiando anche in ritiro, altre volte videogiochi. Qualche volta i ragazzi provavano a sfidarlo, vincendo il timore reverenziale per il ruolo: li batteva sempre, 4 o 50, tra lo scherno degli altri». Ai limiti dell'agiografia: ma difetti, ne aveva? «È un amico, non devo essere io a dirlo. Di certo aveva dei nemici: quando uno è così bravo, qualcuno invidioso prima o poi lo trova».