CORSERA (E. AFFINATI) - Siamo in molti a credere che il calcio, in ogni parte del mondo ma specialmente in una città come la nostra, rappresenti, prima ancora che un gioco, qualcosa di molto più serio: una cassa di risonanza della vita fantastica, il barlume delle speranze tradite nell’infanzia mortificata e tutto quel coacervo di emozioni cristallizzate ed esperienze amputate che forse resteranno sempre così, alla ricerca di un riscatto impossibile. Lo scrisse un giorno, con qualche suggestione decorativa, Frederick Exley in «Fan’s Notes»: «Il mio fato, il mio destino, la mia fine: essere un tifoso».
Lo potrebbero ripetere, in modo più asciutto e conciso, molti degli spettatori che domenica prossima andranno a vedere Roma-Lazio. Sia quelli che saranno presenti allo stadio, sia quelli che si piazzeranno davanti al piccolo schermo. Non si tratta soltanto di questioni private. Tutto diventa, prima o poi, pubblico. Ecco perché il derby, a prescindere dalla matrice sportiva che gli conferisce oggi un valore nazionale, si affronteranno infatti la seconda e la terza in classifica, assume un rilievo speciale. È sempre più forte la sensazione che gli ingranaggi del potere siano perlomeno cigolanti, se non proprio marci. L’inchiesta di Roma Capitale, inutile negarlo, ha versato gocce di veleno sul terreno che ora sembra contaminato. Stiamo fermi ad aspettare chissà cosa. Forse un rinnovamento delle coscienze? Ma quando mai!
Anche le ricorrenti polemiche sui sempiterni spiriti corporativi, primo fra tutti quello che aleggia cupo sul corpo dei vigili urbani, non aiutano a schiarire l’orizzonte capitolino che resta intasato di gas e liquami. La partita che si disputerà all’Olimpico, se si giocasse dalla parte dei cittadini, il che significa senza zone d’ombra, né episodi di violenza, potrebbe paradossalmente costituire un’occasione unica per ritrovare il senso profondo della comunità sociale: contrapposti sì, fieramente avversari, protagonisti della tensione dialettica, ma dentro uno spazio scelto di comune accordo, con un linguaggio condiviso, una mitologia capace di accendere i cuori su entrambi gli spalti. Poi certo continueremo a litigare sui rigori concessi e negati, sui fuorigioco fischiati e non visti, sui goal segnati e contestati. Ci prenderemo in giro. Faremo schiamazzi. Diremo qualche parolaccia.
Ma non manderemo all’aria il tavolo da gioco. Non distruggeremo le regole che ci siamo dati. Alla fine, seppure a fatica, con tutto il rammarico possibile, dovremo accettare il responso del campo. Proprio quello che non è stato fatto altrove.